Le tragiche storie dei migranti che tentano di arrivare in Italia le sentiamo ogni giorno, in alcuni periodi sono più frequenti, in altri meno, ma il filo comune è che spesso i protagonisti sono i migranti che giungono dal mare. C’è però un’altra via che uomini, minori e intere famiglie affrontano ogni giorno: la rotta balcanica. Non appare spesso nel dibattito pubblico italiano, forse perché negli slogan parlare di “porti aperti” o “chiusi” è più di impatto, ma dei migranti via terra provenienti dai paesi mediorientali se ne parla poco.
Arrivano da Afghanistan, Siria, Iraq, Pakistan. La meta finale vorrebbero essere i paesi scandinavi, il Regno Unito e la Germania. Questa scelta è dettata da un immaginario comune per cui l’opportunità di vita che lì viene offerta è migliore di quella del Sud Europa. Quindi Italia, Grecia e gli altri paesi mediterranei sono solo un’ulteriore tappa di un viaggio che può durare anche più di un anno.

La cartina qui sopra mostra un tragitto lineare, la realtà è più simile ad un gioco dell’oca. Le frontiere attraversate sono numerose, i respingimenti al paese confinante sono una routine, e può succedere che i migranti vengano rimandati indietro di due, tre paesi, fino a quello di origine.
La tappa che più di tutte ostacola l’avanzamento è l’ingresso in Unione Europea. Perché l’obiettivo per molti capi di stato europei è far sì che la maggior parte dei migranti non entri. Le frontiere dell’Europa dell’est hanno aumentato sempre più i controlli, così passare dalla Turchia all’Europa occidentale toccando i diversi paesi balcanici è sempre più complesso. Migliaia di persone si ritrovano per mesi in sovraffollati campi profughi dove spesso i diritti umani non sono rispettati. Lungo le frontiere la situazione non è migliore. In Croazia, dove son avvenuti 16000 respingimenti dall’inizio del 2020, un gruppo di migranti è stato legato, torturato e umiliato dalla polizia di frontiera che in seguito li ha fatti tornare a piedi in Bosnia. Questo caso è solo uno dei tanti abusi perpetrati lungo il confine croato e denunciati da Amnesty International.
Diversamente da altre rotte, qui i nuclei famigliari sono numerosi . Spesso quando arrivano in Italia le donne sono in gravidanza o con bambini piccoli, persino neonati di pochi giorni. Molti conoscono solo la loro lingua madre e non è raro che il dialogo passi attraverso i bambini che hanno vissuto nei campi profughi in Europa e hanno imparato un livello base di inglese. È chiaro dunque come la situazione dei molti che giungono nel nostro paese sia delicata, con mesi di abusi e incertezze alle spalle. Il numero di arrivi è ormai costante e anche se non raggiunge i numeri di crisi di cinque anni fa, rimane il bisogno di risorse e strutture per l’accoglienza di coloro che arrivano. In Italia, la decisione di chiudere i centri di accoglienza ha lasciato un vuoto e l’impegno è passato dalle mani dello stato e le istituzioni alla disponibilità dei cittadini volontari, ma questo non basta e c’è l’urgente bisogno di una gestione “dall’alto”, mirata e con le risorse adeguate.
Anna Franzutti