Queerbaiting: cos’è e perché è tanto odiato

Si definisce queerbaiting il tentativo di attirare il pubblico LGBT+ alludendo alla possibile rappresentazione di una coppia omosessuale all’interno di un prodotto d’intrattenimento, solitamente nel campo delle serie tv o del cinema, ma senza l’intenzione di mostrarla davvero. Il termine è nato con un altro significato (come il racebaiting, cioè la tendenza nei dibattiti politici a usare la caratteristica di un avversario per screditare la sua credibilità) ma ha assunto quello attuale negli ultimi anni, grazie a una rinnovata attenzione nei confronti della rappresentazione della diversità nei media.

Si tratta di un argomento ancora dibattuto, non solo per quanto concerne l’orientamento sessuale o l’identità di genere: proprio negli ultimi anni si critica a Hollywood la tendenza ad assegnare ruoli secondari a donne e persone di colore, e in generale ad assumere pochi attori appartenenti a minoranze discriminate.

Svariate ricerche hanno provato l’efficacia della rappresentazione sul grande o piccolo schermo: la presenza di personaggi “diversi” porterebbe a una normalizzazione – e quindi a una maggiore accettazione – degli stessi, e fornirebbe agli appartenenti alle categorie discriminate (specie se bambini) modelli positivi in cui identificarsi. Anche senza scomodare la scienza, però, il pubblico queer è tendenzialmente molto interessato alle storie in cui compaiono personaggi queer.

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È una battuta, ma rende l’idea: per il pubblico LGBT+, specialmente fra i giovani, è importante la presenza di personaggi in cui identificarsi.

La rappresentazione della comunità LGBT+ nell’intrattenimento di massa, al di fuori dei prodotti a tema, è piuttosto scarsa: si parla del 6,4% dei personaggi nei prodotti del 2017. Questo riduce inevitabilmente il numero di serie o film disponibili, il che lascia spazio – appunto – a chi cerca di attirare una determinata fetta di pubblico pur senza inimicarsi il resto degli spettatori (tendenzialmente indifferenti od ostili all’idea di un personaggio queer all’interno della serie). Autori e produttori possono suggerire più o meno esplicitamente che due personaggi dello stesso sesso potrebbero avere una relazione, tramite battute o situazioni ambigue. Talvolta i produttori o gli attori stessi, al di fuori della serie, rilasciano dichiarazioni scherzosamente ambigue per incoraggiare tali supposizioni, come è accaduto con Supernatural. A volte gli autori negano fermamente la presenza di un sottotesto gay in una storia, lasciando tuttavia indizi espliciti all’interno della narrazione: è il caso di Sherlock (BBC). Di recente le polemiche hanno coinvolto J. K. Rowling, in passato acclamata per aver menzionato l’omosessualità di un personaggio (non esplicitata nei libri) durante un’intervista. In occasione dell’uscita del secondo capitolo di Animali Fantastici, film prequel della saga di Harry Potter, il regista David Yates ha infatti dichiarato che non ci sarà alcun riferimento al rapporto tra il giovane Silente e Grindelwald, due dei personaggi principali del film. La dichiarazione ha scatenato la rabbia dei fan nei confronti della Rowling, accusata di aver preso in giro il pubblico facendosi passare per progressista e inclusiva pur senza “rischiare” davvero.

In un mondo sempre più attento alla discriminazione e all’inclusione delle minoranze una tendenza del genere è probabilmente destinata a non durare: i già citati dati del GLAAD indicano un progressivo aumento dei personaggi realmente queer all’interno dei prodotti d’intrattenimento, e molti produttori preferiscono ormai esplicitare la propria inclusività. Si tratta il più delle volte di una manovra commerciale, ma è il riflesso di una diversa mentalità della società e, dunque, del pubblico.

Valeria Quaglino

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