Festa, festa e ancora festa nell’antica Roma

Ci siamo ormai lasciati alle spalle il periodo natalizio, le feste più importanti che tutti quanti attendono trepidanti durante l’anno. L’entusiasmo è finito e si ritorna alla vita di tutti i giorni. Come si suol dire: l’Epifania tutte le feste porta via! Comincia, quindi, il nuovo anno e le prossime ricorrenze sono – fortunatamente per alcuni, sfortunatamente per altri – ancora lontane. In effetti, il calendario delle festività è molto dilazionato, cosa del tutto diversa dalla vita nell’antica Roma, dove era praticamente impossibile smettere di festeggiare. Ebbene sì: i giorni di feriae, ovvero di ricorrenze, religiose o meno, erano circa 191. Praticamente metà dell’anno era dedicata ai festeggiamenti.

Publio Ovidio Nasone, i Fasti

L’opera del poeta latino Publio Ovidio Nasone (43 a.C. – 18 d.C.) intitolata Fasti costituisce una fonte assai preziosa di informazioni per ricostruire il calendario romano e per conoscere i riti, i culti e le festività latine. Si tratta di un poema in distici elegiaci (un tipo di metro composto da due versi, un esametro e un pentametro), che, su modello callimacheo, illustra l’origine e il significato di ogni ricorrenza che i cittadini dell’Urbe erano chiamati a celebrare, inserendosi perfettamente nel programma politico di Augusto, finalizzato al recupero del mos maiorum, cioè delle tradizioni e dei costumi degli antichi. Un dettaglio particolare riguarda la classificazione generale dei giorni dell’anno, suddivisibili principalmente in giorni fasti e nefasti. Durante i primi, secondo il costume tradizionale, non solo era consentito, ma era anche consigliato e ritenuto conveniente fare affari; mentre, durante i secondi, era assai sconsigliato per evitare di incorrere in gravi pericoli. Sfortunatamente l’opera è incompleta: si conclude al sesto libro, con la trattazione del mese di giugno. Secondo il progetto originario, il poema doveva contare, infatti, dodici libri, uno per ogni mese dell’anno, per concentrarsi meglio sulle singole ricorrenze di ogni mese e offrirne una descrizione dettagliata.

Classificazione e organizzazione delle festività

Nell’antica Roma, le ricorrenze potevano essere, come per noi, sia pubbliche che private. Tralasciando, dunque, quelle private, che non dipendevano dal calendario romano, ma dalla discrezione del padrone di casa (a cui poteva o meno far piacere avere la propria casa sempre addobbata a festa oppure no), le festività di natura pubblica potevano cadere o sempre lo stesso giorno dell’anno (in latino feriae stativae) o in periodi differenti a seconda della decisione delle autorità pubbliche (in lat. feriae conceptivae) o essere promulgate, sempre dalle massime cariche, in occasioni particolari (in lat. feriae imperativae).

Le celebrazioni più importanti in assoluto erano, ad esempio, i Saturnalia, da cui è derivato, in un certo senso, il nostro Natale, i Consualia, dedicati al dio del raccolto, e i Lupercalia, una ricorrenza religiosa che si svolgeva durante il mese di febbraio, ma l’elenco potrebbe continuare all’infinito. La religio Romana (dal lat. religione Romana) impegnava i propri cittadini a partecipare ai riti pubblici più per una ragione di Stato che di credo, per una ragione politica e istituzionale che personale. Perciò, le strade della città erano sempre colme di persone festanti.

Inoltre, non mancavano le celebrazioni dei trionfi militari che prevedevano una processione delle truppe e del generale per la via principale della città. Poi, bisogna aggiungere a questo elenco di ricorrenze tutti i festeggiamenti connessi ai giochi pubblici. I ludi potevano svolgersi in un solo o in più giorni durante i quali la popolazione assisteva a spettacoli gladiatori negli anfiteatri e a corse di carri nei circhi. Queste ricorrenze attiravano a Roma, e anche in tutte le altre città dell’impero, un numero impressionante di spettatori. La folla andava in visibilio per il massacro di gladiatori, prigionieri e belve feroci nell’arena o per la corsa con le bighe, ma, allo stesso tempo, spesso questi eventi avevano un secondo fine: accattivarsi il favore della popolazione. L’impero stesso, qualche politico o l’imperatore in persona tentavano di ingraziarsi o di tenere a bada il popolo, a seconda delle circostanze politiche del momento, grazie appunto alla distribuzione di grano e ai giochi gladiatori e agli spettacoli, a spese ovviamente dell’impero.

Nicola Gautero

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