Autore di novelle e romanzi psicologici, padre del teatro, dell’umorismo e della frammentazione del personaggio. Luigi Pirandello non è mai mancato negli scaffali delle case e tantomeno tra i libri di scuola, divenuto presto simbolo della letteratura italiana novecentesca grazie alle riflessioni sulle molteplici sfaccettature dell’esistenza umana, segnata da costanti e continue contraddizioni (una situazione, appunto, “pirandelliana”) che rendono impossibile trovare il vero senso della vita.
Una lunga e tormentata esistenza, la sua, che inizia ad Agrigento (allora ancora chiamata Girgenti) e termina a Roma, con tappe importanti a Bonn, a Palermo e anche a New York. Eppure, nonostante la varietà della sua produzione artistica tra novelle, saggi e romanzi, il tempo sembra averlo reso vittima di ciò che più aveva odiato in vita: l’essere incasellato in una sola identità, quella per cui, d’altronde, è ad oggi conosciuto. Lo si ricorda in quanto “l’autore de Il fu Mattia Pascal” oppure “quello dell’umorismo”, si strizza il naso e si passa oltre. Non viene comunque messa in dubbio la sua posizione di autore-pilastro della letteratura italiana moderna, un punto di riferimento che chiunque, a prescindere dall’averne o meno interesse, può tenere in conto. Per chi invece si ritrova ad approfondirlo, il nome di Luigi Pirandello si presenta come una luminosa matrioska stracolma di temi, di etichette, di scritti… Insomma in ogni ambito, anche al di fuori di quello strettamente culturale, quel nome evoca qualcosa, che sia in positivo o meno.
Alla luce di tutto questo, senza negare che la reputazione dell’autore brilli molto di più rispetto a quelle di altri suoi contemporanei, come si può affermare che sia paradossalmente sottovalutato al giorno d’oggi? La risposta che cerchiamo sta proprio nelle etichette. Ricordiamoci che Pirandello se ne è ritrovate parecchie attaccate nel corso della sua lunga carriera, a partire dal primo romanzo “L’Esclusa”, pubblicato nel 1901, che venne definito in qualche modo “femminista”. E poi le novelle: ci furono quelle veriste, quelle grottesche, quelle umoristiche… Ma è l’ultima, “Una Giornata”, pubblicata postuma, a lasciarci traccia della sfuggente e indefinita identità dell’autore, un’identità che nemmeno lui stesso è mai riuscito a cogliere e riconoscere. Il protagonista della novella è il medesimo autore, che si ritrova a scendere da un treno in mezzo al nulla, senza capire dove si trovi né perché abbia compiuto quel viaggio. In seguito, diversi elementi – una foto, un biglietto, il sorriso dei suoi figli – gli permettono di ricostruire la sua identità di uomo borghese di notevole fama, ma anche in questo caso egli non riesce a comunque a riconoscersi, né tantomeno ad accettarsi; anche quando si ritrova improvvisamente catapultato sul letto di morte, si ritiene impossibilitato a riconoscere se stesso e ciò che ha compiuto in passato, rifiutandosi di accettare che quella sia la sua identità e che la sua vita sia già giunta al termine.
Ed è proprio qui che il tema che Pirandello aveva tentato di esemplificare in “Uno, nessuno e centomila” ritorna a galla: quello della totale estraneità dal mondo, una frammentazione che nulla ha a che vedere con il personaggio dell’inetto di Svevo o di Moravia, ma che riguarda tutti noi. Non è forse questa la società che, forse più di prima, tende a incasellare gli individui in ruoli lavorativi e sociali che risultano limitanti? Una delle maggiori volontà della nostra generazione è proprio quella di “trovare un posto nel mondo”, cercare di andare oltre le etichette che i nostri famigliari e conoscenti ci hanno affibbiato. Non vogliamo essere solo studenti, laureati, lavoratori, impiegati, genitori; c’è qualcosa che va oltre il percorso che la società ha in qualche modo imposto come “naturale” e che desideriamo ardentemente raggiungere. Nonostante non sappiamo cosa o chi vogliamo essere, siamo consapevoli che questi ruoli non ci definiscono pienamente e questi paesini in cui viviamo ci stanno stretti, siamo estranei in un mondo troppo caotico e frenetico. In questa precisa situazione esistenziale non possiamo negare che Pirandello sia più attuale che mai. Lui dal primo istante si è ritrovato a “giocare” con le numerose etichette ricevute, ridendoci sopra, non curandosi minimamente delle aspettative degli altri, soprattutto quando si allontanò dal fascismo, il quale al contrario lo aveva tanto lodato. E anche se lui ha portato all’estremo questa ideologia, arrivando ad affermare che la vita non abbia senso in quanto una “pupazzata” illusoria, il naturale desiderio di andare oltre le barriere imposteci continua a picchiettare dentro di noi, talvolta divenendo un vero e proprio “spiritello” che si impone, sovrapponendo chi vorremmo essere a chi gli altri vorrebbero che fossimo.
“Ne aveva avuto vergogna, la prima volta, una gran paura di sembrare strana, quando non era tale, per nulla: sapeva fare tutte le altre cose tanto per benino, lei: cucinare, cucire, badare alla casa; e parlava così assennata, poi… – oh, come tutte le altre fanciulle del paese… C’era però qualcosa dentro di lei, uno spiritello pazzo, che non pareva, perché lei stessa non voleva ascoltarne la voce né seguirne le monellerie, se non in qualche momento d’ozio, durante il giorno, o la sera, prima d’andare a letto.“
Pirandello, Suo Marito. 1911
Monica Poletti
