Nolan e Pirandello: il sacrificio per l’arte

Che cos’hanno in comune Christopher Nolan e Luigi Pirandello?

Il primo, nato a Londra nel 1970, è uno dei registi più noti del nostro secolo, come testimoniano i prestigiosi riconoscimenti e i due premi Oscar di cui è stato vincitore. Il secondo, di origini siciliane, vissuto tra il 1867 e il 1936, fu uno dei poeti e drammaturghi più celebri del XX secolo e, nel 1934, ricevette il premio Nobel per la letteratura. Grazie a uno stile inconfondibile e innovativo, entrambi sono stati in grado di influenzare la produzione artistica del proprio tempo, rispettivamente quella cinematografica e quella letteraria. La maggior parte delle loro opere è permeata da una complessità tormentata e da un’interminabile serie di interrogativi che vengono posti allo spettatore o al lettore. Ecco perché, tra il palcoscenico o la pagina pirandelliana e lo schermo nolaniano, si intreccia un arazzo di elementi condivisi, quali l’ossessione e il sacrificio.

«La vita, o si vive o si scrive. Io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola», possiamo leggere nel carteggio fra Pirandello e Ojetti, un intellettuale a lui contemporaneo, nonché suo carissimo amico. Esse manifestano il disagio interiore che attanagliava Luigi Pirandello, dovuto sia a motivi biografici che storici. Anche nell’opera Il fu Mattia Pascal, nello specifico nel manoscritto conservato presso il fondo Houghton dell’Università di Harvard, si nota un indizio che ci suggerisce la crescente inquietudine dell’autore. Infatti, accanto alla seguente frase: «Io, insomma, dovevo vivere, vivere, vivere», che conclude il nono capitolo del romanzo, Pirandello ha lasciato la sua firma, un unicum nei diciotto capitoli, come se si immedesimasse nell’esclamazione esasperata del suo protagonista. Tale instabilità lo portò a credere che il suo lavoro di scrittore, in generale di artista, esigesse un prezzo da pagare più elevato, in termini di serenità personale, rispetto a quello richiesto da altre professioni. Analizzare la vita, tentare di comprenderla e narrarla attraverso storie tortuose: questi impegni distinguevano e distanziavano Pirandello dalle persone comuni, intente a soddisfare i propri bisogni quotidiani. Come uno scienziato che conduce un esperimento, ma a cui non è consentito interferire con i campioni del laboratorio, Pirandello poté studiare la vita, ma non viverla al pari degli altri.

Nel film The Prestige di Christopher Nolan ritroviamo il prezzo da pagare che l’arte impone a coloro che scelgono di dedicarsi ad essa. I personaggi di Robert Angier e Alfred Borden, interpretati magistralmente da Hugh Jackman e Christian Bale, sono due illusionisti londinesi, acerrimi rivali e impegnati a sfidarsi in spettacoli tanto ambiziosi quanto rischiosi. All’interno del lungometraggio viene nominato diverse volte il sacrificio, in un’ottica che ne delinea la sua imprescindibilità per il raggiungimento del successo. Pur di eguagliare il trucco di magia di Borden, che riesce in maniera apparentemente inspiegabile a teletrasportarsi da un luogo all’altro del palcoscenico, Angier decide infatti di utilizzare un macchinario che, oltre a consentirgli di spostarsi istantaneamente, lo clona ogni volta che se ne serve. Per questo motivo, dopo ogni spettacolo, Angier è costretto a uccidere il clone di se stesso prodotto dal macchinario. Nell’opera di Nolan la profondità del sacrificio aumenta progressivamente le proprie radici, fino ad affondarle nella vita stessa dell’artista: all’inizio equivale a impegno, dedizione, studio e ossessione, ma nel finale assume le sembianze iperboliche di un reiterato suicidio.

Per Nolan e Pirandello l’arte è legata all’ossessione e al sacrificio: genera la prima e pretende il secondo. Sorge spontanea una domanda: per quale scopo l’artista accetta tali condizioni? Per il regista, l’obiettivo è l’illusione: regalare al pubblico la meraviglia di cui il mondo è scevro e di cui l’arte è creatrice. Per lo scrittore, l’obiettivo è la disillusione: cogliere l’irrazionalità della realtà e rivelarla.

«Tu non hai mai capito perché lo facevamo. Il pubblico conosce la verità. Il mondo è semplice, miserabile, solido e del tutto reale. Ma se riuscivi a ingannarli anche per un secondo, allora potevi sorprenderli. Allora riuscivi a vedere qualcosa di molto speciale. Davvero non lo sai? Era quello sguardo sui loro volti»


Christopher Nolan

«Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria»


Luigi Pirandello

Anna Baracco

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