Per guidare una macchina serve una patente. Per avere un figlio, no. Eppure, entrambe comportano dei rischi rilevanti! È questo il punto di partenza della riflessione di Hugh LaFollette, filosofo statunitense che avrebbe sconvolto il dibattito bioetico con una nuova prospettiva, negli ultimi anni del secolo scorso.
In un mondo in cui quasi ogni attività potenzialmente rischiosa richiede una certificazione, la genitorialità – che può avere un impatto profondo e irreversibile sulla vita di un essere umano – ne è completamente esente.
Ma è davvero giusto che sia così? Secondo LaFollette, la risposta è già confezionata: assolutamente no.
Analizziamo insieme la sua proposta!
L’importanza di essere genitori
È il 1980 quando LaFollette pubblica il suo celebre articolo “Licensing Parents“ , in cui propone un’idea allora impensabile: introdurre una sorta di sistema di abilitazione per diventare genitori biologici.
Se per guidare un’auto, possedere un’arma o per esercitare una qualche professione sanitaria è obbligatorio seguire corsi, superare esami e dimostrare la propria idoneità, perché per crescere un essere umano non è richiesta alcuna prova di competenza?
Essere genitori può essere pericoloso: non tanto per chi esercita il ruolo, ma soprattutto per chi lo subisce. Genitori inadatti o impreparati possono causare danni enormi, sia psicologici che fisici, in grado, potenzialmente, di condizionare la vita e lo sviluppo dell’individuo in crescita.
Il fulcro dell’argomentazione
Il punto di forza dell’argomento di LaFollette risiede nel confronto con il sistema adottivo: infatti, nel caso delle adozioni, i potenziali genitori devono affrontare un lungo iter, pensato per valutarne l’adeguatezza al ruolo. Devono affrontare colloqui, indagini economiche, psicologiche e relazionali: tutte fasi che, sommandosi, costituiscono un processo che può durare fino a circa quattro anni (in Italia, a seconda della tipologia di adozione si scelga). Nel caso della genitorialità biologica, invece, tutto ciò non è richiesto: perché per adottare sì e invece per i genitori biologici no?
Ora arriviamo al punto saliente. Quali sono le problematicità della proposta di LaFollette?
Eccone alcune:
- Il primo quesito riguarda la libertà individuale: lo Stato ha il diritto di limitare chi può diventare genitore? Il licensing parenting mette in dubbio il “diritto naturale” di ogni individuo a formare una propria famiglia. È giusto che lo Stato intervenga su questo? In ambienti cattolici , per esempio, il figlio è visto come un “dono” di Dio; è giusto che l’essere umano si intrometta in questa faccenda? Il concetto stesso di matrimonio, considerato da molte tradizioni come un’unione spirituale e carnale, potrebbe essere messo in discussione (e lo Stato che lo permetterebbe potrebbe essere accusato di “giocare a fare Dio”);
- Il secondo quesito riguarda i criteri di idoneità: come vanno valutati? Hanno una scadenza? Ogni quanto tempo bisognerebbe ripetere il “test”? LaFollette non fornisce delle risposte precise: si potrebbero, per esempio, sfruttare i criteri già utilizzati nell’adozione, ma anche questi non sono privi di problematiche che rischierebbero di introdurre elementi discriminatori. Esistono dei test che potrebbero valutare comportamenti “potenzialmente pericolosi” (è un genitore “violento”? Qual è il suo background? Ha qualche tipo di dipendenza?), ma la questione rimane ancora molto spinosa.
- Terzo quesito: come si potrebbe realizzare tutto ciò, senza scivolare in forme di “controllo sociale” ed “eugenetica”? Se lo Stato controlla chi ha l’abilitazione e chi no, potrebbe dar vita a forme di controllo delle nascite, concedendo l’abilitazione solo a chi preferisce, anche se quest’ultimo non risultasse per natura idoneo.
Responsabilità prima di desiderio
La proposta di LaFollette è curiosa e, a livello puramente teorico, persino interessante. Il problema sta proprio nel passaggio da una “bioetica”, intesa come riflessione, a una “bioetica politica”, atta a supportare la formulazione di leggi.
Tralasciando le varie fallacie, il merito dell’uomo americano sta nell’aver richiamato l’attenzione su una domanda fondamentale: diventare genitori è un diritto naturale legato al desiderio o una scelta consapevole e studiata, fondata sulla responsabilità?
A voi la risposta!
Octavio Moretto

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