Cosa ci insegna il caso Cospito?

La vicenda di Cospito è una vicenda particolare perché riguarda la vita di un uomo, un militante. Ma è anche una vicenda generale, nella misura in cui ci dà l’opportunità di indagare alcuni aspetti della società in cui viviamo e davanti ai quali non dovremmo restare impassibili.

Ma in che modo il caso giudiziario di Alfredo Cospito può darci la cifra delle tendenze politiche e sociali del nostro tempo?

Martedì 31 gennaio il collettivo giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino ha organizzato presso il Campus Luigi Einaudi, un seminario aperto per lo sciopero della fame del militante anarchico Alfredo Cospito contro il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo. Durante il seminario sono intervenuti Flavio Rossi Albertini, legale di Cospito, Alessandra Algostino, docente di Diritto Costituzionale (UniTo) e Gianfranco Ragona, docente di Storia delle dottrine politiche (UniTo). Insieme a loro abbiamo cercato di analizzare la vicenda giudiziaria di Alfredo Cospito e capire quali spunti questa ci possa fornire per instaurare un dibattito critico sul nostro presente.

Alfredo Cospito, come si dice da molte settimane, è in sciopero della fame da più di 100 giorni per chiedere la revoca del regime del 41 bis a cui è stato destinato nel maggio del 2022. Questa revoca è stata respinta dal Ministro Carlo Nordio come riporta una nota del Ministero della Giustizia datata 9 febbraio. Quello che segue è un estratto delle dichiarazioni del militante, rese davanti alla Corte d’Assise d’appello il 5 dicembre: […] Seppellito definitivamente con l’ergastolo ostativo, che non ho dubbi mi darete con l’assurda accusa di aver commesso una strage politica, per due attentati dimostrativi in piena notte, in luoghi deserti che non potevano e non volevano ferire o uccidere nessuno e di fatto non hanno ferito o ucciso nessuno. Non soddisfatti, oltre l’ergastolo ostativo, visto che dalla galera continuavo a scrivere e a collaborare con la stampa anarchica hanno deciso di tapparmi la bocca per sempre, con la mordacchia medievale del 41 bis, condannandomi ad un limbo senza fine in attesa della morte. […]

Come sottolinea durante il seminario il legale di Cospito, Flavio Rossi Albertini, sembra che nel caso sia avvenuto uno spostamento dall’elemento oggettivo del fatto (gli attentati sopra citati dal militante) alla soggettività dell’autore, anarchico sovversivo, che intendeva sovvertire o modificare le leggi introdotte per contrastare i flussi migratori di questo paese. Questo, secondo Flavio Rossi Albertini, ha fatto sì che si applicasse la sopracitata strage contro la sicurezza del paese sulla base di elementi indiziari fortemente equivoci. È evidente che nel caso Cospito, continua Rossi Albertini, la magistratura non si è limitata ad attestare, come da sue competenze, se il fatto sussisteva o meno e se era ascrivibile a un soggetto che era l’imputato, ma ha vestito i panni del cosiddetto magistrato combattente. A partire dalla fine degli anni ’60, spiega Rossi Albertini, i giuristi si trovarono ad affrontare moltissimi processi intentati contro soggetti appartenenti alla sinistra eversiva e sovversiva di questo paese e furono di fronte a una magistratura che intraprese una vera e propria battaglia contro quel fenomeno. Ulteriormente allarmante per quanto riguarda l’accusa di Cospito, è il fatto che neanche nel caso dell’attentato di Bologna e della strage di Falcone e Borsellino si è ipotizzato che quei fatti potessero essere ricondotti a un’ipotesi così grave come la strage contro la sicurezza del paese.

Il legale di Cospito continua a spiegare che il decreto applicativo del 41 bis per il militante è stato introdotto successivamente, ipotizzando l’esistenza di una realtà associativa all’esterno denominata Fai-Fri, che dimostrerebbe una capacità nonché una presenza diffusa sul territorio e con la quale Alfredo Cospito dialogherebbe indicando gli obiettivi e sollecitando iniziative di lotta attraverso gli scritti che nel corso degli anni ha inviato all’esterno. Poi aggiunge: Credo che lo Stato abbia agito in questo modo per creare dei moniti. Per intimare di non pensare nemmeno a un fenomeno di trasformazione sociale in profondo contrasto con le istituzioni statali e in vista di un loro cambiamento perché altrimenti quello che si rischia sono misure così sproporzionate come nel caso di Cospito.

L’articolo 41 bis, come è noto, è stato introdotto in relazione ai reati di stampo mafioso per recidere i rapporti tra soggetti all’interno e l’associazionismo di provenienza all’esterno. Questo strumento, però, come sottolinea il legale di Cospito, tende a fiaccare i soggetti che vi sono sottoposti in vista di una collaborazione, senza la quale è sostanzialmente impossibile uscire dal 41 bis. Come afferma la professoressa Algostino, il 41 bis ci racconta dei rischi della dilatazione delle emergenza: una norma temporanea, nata per fattispecie specifiche che si stabilizza nel tempo e si estende ad altri soggetti contemplando sempre nuove restrizioni.

L’applicazione dell’articolo 41 bis ad Alfredo Cospito poi, continua la docente, in quanto esponente dell’area anarchica, richiama quella che è la criminalizzazione e la repressione del dissenso e cioè la progressiva militarizzazione della democrazia che mira a neutralizzare il conflitto sociale di fronte a un’egemonia neoliberista che è sempre più aggressiva, opprimente e produce sempre maggiori disuguaglianze.

Come dice il professor Ragona, gli anarchici storicamente parlando sono spesso stati al centro di atteggiamenti di criminalizzazione del dissenso: sembra che gli anarchici con la loro stessa esistenza siano capaci di mettere in dubbio l’auto rappresentazione consolatoria che deriva dal nostro modo di vita.

Ma Alfredo Cospito e gli anarchici in generale non sono gli unici soggetti ad essere colpiti: con l’abuso del reato associativo si sta attaccando tutto quel mondo di impegno civile e politico che tocca alcuni nodi scoperti della nostra società,continua Ragona, Non è un caso che si attacchino coloro che lottano contro gli sfratti, contro i centri di detenzione per migranti ecc.. Tutto ciò ha degli effetti sui movimenti reali e questo è l’obiettivo: disincentivare l’attivazione in tutto ciò che è fuori da ciò che è istituzionalizzabile ed istituzionalizzato.

È qui che la vicenda di Alfredo Cospito si interseca con le nostre vite, mettendo in luce il fatto che una volta ristretti gli spazi della democrazia, è difficile invertire il processo. Anzi, la tendenza è di eroderli sempre di più.

Siamo di fronte a una crisi chiara della democrazia, ha affermato il professor Ragona, Per alcuni questa crisi mostra un tratto caratteristico dell’illusione democratica, per altri può rappresentare un’occasione per ripensare il modo in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri in maniera democratica.

Crisi, come sottolinea Ragona, è ormai diventata una parola chiave del nostro tempo. Viviamo in un sistema di produzione e distribuzione la cui vita normale è la crisi; in un sistema politico che vive costantemente di crisi; viviamo in una crisi ambientale e climatica catastrofica; viviamo la crisi di una guerra che potrebbe avere esiti nefasti e ultimi per tutti e ci conduciamo come se non stesse succedendo nulla. La domanda che ci si potrebbe fare pensando al modo in cui si è gestita la pandemia e al modo in cui oggi si vive è: qual è il legame tra questo senso di crisi, la consapevolezza di vivere in un tempo decisivo e la vicenda di Alfredo Cospito?

Il professor Ragona pone l’accento sul fatto che le relazioni sia all’interno che all’esterno della nostra vita sono ormai permeate da una logica di guerra, la statualità stessa si presenta con una logica di guerra nei rapporti con i cittadini. Secondo Ragona, nel caso Cospito c’è un accanimento della legge che ci mette davanti a quella che con tutta la modestia del caso potremmo chiamare una verità: lo Stato non riesce a mantenere le sue promesse. Come dice il docente, non riesce neppure a gestire i propri dispositivi e molto spesso non crea benessere e sicurezza ma il contrario: non il diritto, ma l’eccezione; non la pace, ma la guerra all’interno e all’esterno. Alfredo Cospito, conclude Ragona, con la sua scelta ci sta gridando una verità, come il bambino della favola di Andersen: il Re è nudo! e ci da un compito di natura etica: cosa ci facciamo con questa verità?

Chiara Lionello

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