Con tono avvilito il popolo italiano ha deciso di pronunciarsi in merito a una nuova – o forse non troppo – lotta per le coppie omosessuali, che ormai da anni si scontrano velleitariamente con uno Stato che non tutela il concetto primario di “famiglia”, senza la necessità di accostarla a una netta distinzione tra quella a loro avviso “tradizionale” e non.
Nonostante il proferimento della Corte Costituzionale, le coppie dello stesso sesso rimangono intrappolate in un contorto labirinto di norme e divieti, il quale disconosce volontariamente i loro diritti genitoriali e nega ai rispettivi figli di avere due genitori. Il panorama estero europeo offre sicuramente più speranza: in tutta l’Europa, salvo alcuni Paesi come la Polonia e l’Ungheria, i figli di coppie omogenitoriali sono riconosciuti fin dalla nascita, senza dover affrontare lunghe battaglie per ottenere la trascrizione di certificati esteri o la stepchild adoption.
E l’Italia?
Lo scenario italiano si discosta nettamente da questa prospettiva.
L’ultima polemica riguarda due iniziative della maggioranza di Governo: la circolare del Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che mira a vietare ai sindaci delle diverse città d’Italia il riconoscimento dei figli alle coppie omosessuali e la contrarietà a recepire la proposta del Certificato Europeo di filiazione che prevede che la genitorialità stabilita in uno Stato membro venga riconosciuta in ogni altro Stato membro, senza alcuna procedura speciale, che si tratti di figli di coppie eterosessuali, omogenitoriali, figli adottati o avuti con la maternità surrogata dove è consentita.
La commissione Politiche europee del Senato ha infatti approvato con 11 voti a favore su 18 una risoluzione della maggioranza (presentata dal relatore, l’ex ministro degli Esteri Giulio Santagata) contraria alla proposta di regolamento. Nonostante le diverse contestazioni da parte dell’opposizione, la norma non passa in quanto non rispetta alcuni principi di diritto nazionale e europeo. Un eventuale ok alla proposta di regolamento, infatti, può rappresentare una minaccia per i più conservatori, in particolare per la pratica della maternità surrogata – nonché una forma di procreazione assistita a cui ricorrono coppie gay ed eterosessuali ed attualmente vietata in Italia – che si tema possa venire tacitamente aggirata e finalmente riconosciuta dallo Stato.
Alcuni senatori del Movimento 5 Stelle ribattono duramente: ‘’Con questa decisione Giorgia Meloni e i suoi adepti si assumono la responsabilità clamorosa di portare un Paese come l’Italia sull’asse di Orban e della Polonia sulla materia di diritti”.
Il primo comune chiamato in causa è quello di Milano, il cui sindaco Sala, definisce lo stop alla registrazione all’anagrafe di figli di coppie omogenitoriali “un passo indietro politico e sociale” rimarcando ancora una volta il vuoto legislativo a cui i sindaci hanno dovuto sopperire. Da qui nasce una prospicua lista di istituzioni poco “obbedienti”: una notevole dimostrazione di solidarietà e di dignità civica è stata data dal sindaco di Treviso, Mario Conte, che al di là del proprio orientamento politico rivolto alla destra italiana, decide di continuare a trascrivere i figli delle coppie omosessuali.
E gli italiani?
Quanto è sottile il confine tra politica e ostruzionismo? Quanto la propria posizione ideologica può egoisticamente legittimarci a definire chi può o non essere qualcuno? Perché coloro che dovremmo crescere e tutelare diventano oggetto di ineguale trattamento, sul criterio della famiglia di appartenenza?
Numerosi sono gli italiani che chiedono risposte a questi interrogativi e molteplici sono gli attivisti che negli ultimi giorni sono scesi in piazza per contestare questi stop normativi sostenendo una ferma e chiara posizione: la differenze sono non in casa, ma solo all’anagrafe, apparato statale.
Alessia Dotta.
