Sono passate alcune settimane dalla morte di Michela Murgia e il vuoto che ha lasciato nel panorama attivista, intellettuale e letterario non verrà colmato facilmente. Per tanto tempo ha subito insulti di ogni tipo per la franchezza e l’audacia con cui esprimeva la propria opinione e spiegava concetti come il femminismo intersezionale, il linguaggio di genere e quello inclusivo.
Francesco Costa, il vicedirettore del Post, ha scritto un articolo in occasione della morte di Murgia e ha ragionato sul termine intellettuale. Nella sua visione comune, questa parola descrive qualcuno «la cui attività intellettuale produce una forma di cambiamento, polemica o intrattenimento. E da questo punto di vista, ciò che ha fatto Murgia è stato quello di essere un’intellettuale nel senso puro del termine, cioè come qualcuno che diceva cose che avevamo già sentito, ma meglio; una che affrontava questioni anche leggere e riusciva a essere molto profonda». E soprattutto, un’attivista che riusciva a far pensare chiunque leggesse le sue parole. E mi trovo d’accordo con Costa, perché il modo in cui esprimeva i suoi pensieri era lineare e senza una piega. Riusciva, cioè, con una certa proprietà di linguaggio, a trovare le fallacie logiche di certi ragionamenti e dichiarazioni utilizzate spesso in ambito politico. Non bisognava essere per forza d’accordo con lei, il punto era – ed è ancora – la reazione e l’effetto che provocano quelle parole in chi le legge. Infondo, il ruolo dell’intellettuale è questo.
Quando muore una persona così, ci si chiede cosa o chi verrà dopo. La vera domanda è però un’altra: quanti saranno in grado di portare avanti ciò che ha seminato Murgia? In quanti si rimboccheranno le maniche e non si gireranno dall’altra parte di fronte alle ingiustizie?
Ecco, credo che la vera domanda da porsi sia proprio questa. Bisogna chiedersi se si sarà disposti a non tacere, a non evitare di creare dialogo e confronto laddove non si è d’accordo con l’interlocutore.
Nel titolo ho usato la parola attivista e non l’ho mai definita scrittrice. Il motivo è che Murgia stessa si definiva prima di tutto attivista, perché era il suo lavoro: portare avanti le battaglie femministe sui social e sensibilizzare le persone su quanto possa essere subdola la discriminazione, soprattutto quella di genere. Era nota la sua rubrica domenicale in cui passava in rassegna i vari articoli di giornali, che con pochi giri di parole, palesavano il potere che il patriarcato continua a esercitare tutti i giorni sulle donne e sugli uomini. Titoli in cui la colpa era sempre della vittima uccisa, titoli in cui le donne vengono sempre etichettate per il loro ruolo di madre o moglie, titoli in cui una ragazza violentata diventa la responsabile dell’accaduto. Il tutto perché si usano frasi a cui ormai siamo abituati e a cui non facciamo più caso, quando, invece, dovremmo perché è con il linguaggio che comunichiamo e che discriminiamo.
Murgia era tutto questo e noi cosa saremo?
Alessandra Tiesi
crediti immagine di copertina: @angelafrenda on Instagram
