L’11 settembre è una data indelebile della nostra modernità. Le immagini dell’attacco terroristico del 2001 alle Torri Gemelle di New York sono impresse nella nostra memoria e nel nostro immaginario collettivo e capaci di risvegliare anno dopo anno la stessa sofferenza impotente e lo stesso desiderio di commemorare e ricordare le vittime di questa tragedia. L’11 settembre però è una data da ricordare anche per un altro importante avvenimento, dimenticato dai più e messo in ombra dall’attentato del 2001: il golpe cileno. Alle 9.25 di martedì 11 settembre 1973 il presidente cileno Salvador Allende, dopo aver pronunciato il suo ultimo discorso a Radio Magallanes dal Palazzo della Moneda a Santiago del Cile, ormai assediato dall’esercito di Augusto Pinochet, si uccide con un colpo di kalashnikov.
Il Cile di cui diventa presidente Allende nel novembre del 1970 è una delle poche democrazie solide in America Latina. L’aspirazione del presidente è quella di portare il paese al socialismo il più in fretta possibile. Ma che cosa fa precipitare il paese in una dittatura militare che durerà 17 anni?
Alla fine degli anni ’60 crescita demografica e inurbamento stanno cambiando la società del paese. Il governo democristiano di Eduardo Frei cerca di assecondare il cambiamento del paese attraverso l’attuazione di importanti riforme che però vengono ritenute troppo ambiziose dai conservatori e troppo blande dai progressisti. Così il fronte dei partiti borghesi si spacca e le elezioni del 1970 portano alla vittoria Salvador Allende che diventa il primo presidente marxista del continente americano. Allende però ottiene solo la maggioranza relativa e per diventare presidente sono necessari una coalizione di governo e il voto favorevole del Congresso. Gli Stati Uniti di Nixon, che temono il “contagio” comunista del paese, si mettono subito in azione per impedire l’ascesa di Allende, prima spingendo sulla Democrazia Cristiana affinché non sostenga il candidato marxista (benché democraticamente eletto) e poi sostenendo il gruppo di estrema destra Patria y Libertad e cercando di organizzare un colpo di stato. L’esercito però, indispensabile per questo progetto, nega il suo appoggio. In quei 60 giorni (dalle elezioni di settembre all’insediamento del 3 novembre 1970) il paese è in tensione: ci sono esplosioni, attentati a edifici pubblici e centrali elettriche, e il comandante in capo dell’esercito, il generale Schneider, viene assassinato in un tentativo di rapimento.
Allende però, sostenuto anche dalla Democrazia Cristiana, diventa ufficialmente il presidente del paese. Diventato presidente, nazionalizza le miniere di rame, la principale risorsa del paese, pone sotto controllo statale le maggiori industrie e nazionalizza il sistema finanziario: riforme che metteranno ancora più in allarme gli Stati Uniti e la destra del paese. La situazione si fa sempre più difficile, l’inflazione aumenta e la crisi economica imperversa. Il governo raziona la carne, compare il mercato nero e il malcontento si fa sentire. Le manifestazioni si moltiplicano tra la popolazione appoggiata anche da esponenti dell’opposizione democristiana. Comincia uno sciopero dei trasporti, i commercianti chiudono i negozi, tutto in Cile si ferma. Il governo proclama lo stato di emergenza: il paese è sull’orlo della guerra civile. A peggiorare la situazione, inoltre, ci sono le divisioni interne al governo, che va da i moderati all’estrema sinistra violenta.
Durante il suo governo, in aggiunta, Allende per attuare le sue riforme ha forzato spesso la Costituzione senza avere la maggioranza in Parlamento. Se gli estremisti di sinistra vogliono la rivoluzione subito, i democristiani invece si spostano a destra. Il 29 giugno 1973 viene sventato un primo tentativo di colpo di stato e il 22 agosto la Democrazia Cristiana accusa Allende di violazione della Costituzione e si appella all’esercito per garantire l’ordine costituzionale. Carlos Prats, ministro della difesa e capo dell’esercito, si dimette e Allende nomina al suo posto un nuovo generale, Augusto Pinochet.
L’11 settembre 1973 sarà il presidente stesso ad annunciare il golpe. I militari circondano il palazzo presidenziale e invitano Allende alla resa. Le forze armate prendono il controllo del paese e comincia la caccia all’uomo. Cominciano le persecuzioni contro coloro che hanno sostenuto il governo: è solo l’inizio di un clima di terrore che durerà 17 anni. Gli arrestati vengono riuniti nello Stadio Nazionale, trasformato in luogo di prigionia e tortura, vero e proprio luogo dell’orrore. Torture e violenti interrogatori sono all’ordine del giorno. Secondo Amnesty International tra il 1973 e il 1990 40.000 è il numero delle vittime di violazioni dei diritti umani. Durante il regime furono creati centinaia di centri di detenzione e tortura in cui molti morirono e in cui “scomparvero” i cosiddetti desaparecidos.
Il poeta cileno Pablo Neruda disse: “Noi, quelli di allora non siamo più gli stessi”. A 50 anni da quel colpo di stato neanche noi possiamo essere più gli stessi, ma custodi della memoria di una tragedia che non deve più accadere.
Lorenza Re
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