La banana è uno dei frutti più prodotti a livello globale. Amata fin dall’antichità, si è diffusa in tutto il mondo fino a diventare uno dei pilastri fondamentali dell’economia dell’America Latina, che ne esporta 16 milioni di tonnellate all’anno, su un totale mondiale di 22 milioni. L’Ecuador, infatti, è il maggior esportatore mondiale di banane, per un valore di 3,5 miliardi di dollari, seguito da Filippine, Costa Rica, Colombia e Guatemala. Dietro la produzione e la commercializzazione di questo frutto ci sono però grandi multinazionali, come la Dole Food Company, Del Monte Foods e soprattutto Chiquita, aziende che da sole controllano il 65% dell’export mondiale di banane.
Ma come è arrivata la banana nel continente americano?
A differenza di quanto si possa credere, la banana non è nata nel continente americano, bensì nel Sud-est asiatico e in particolare in Papua Nuova Guinea, dove sono state ritrovate le prime tracce di questo frutto. Già nel 6000 a.C. l’uomo aveva imparato a coltivare la banana per mezzo della partenocarpia, la capacità di alcune piante di sviluppare frutti privi di semi senza bisogno di fecondazione o di impollinazione. La facilità della sua produzione e della sua disposizione in ogni momento dell’anno resero la coltura ibrida della banana di grande successo, e ne portarono la diffusione prima in India e poi nel continente africano, dove le coltivazioni di banane proliferarono grazie ai commercianti musulmani che navigavano attraverso l’Oceano Indiano. Nel XVI secolo spagnoli e portoghesi giunsero in Guinea e decisero di trapiantare la banana nel Nuovo Mondo, dove le piantagioni monocolturali cominciarono a diffondersi a partire dalla Giamaica.
El pulpo
Nel 1870 Lorenzo Dow Baker, un capitano di mare americano di ritorno da un viaggio in Venezuela, acquistò 160 caschi di banane e decise di rivenderli a Jersey City, in New Jersey, a ben 2 dollari a banana, guadagnando 6400 dollari. Baker capì subito il potenziale di questo frutto e sarà proprio l’acquisto di questi 160 caschi di banane il punto di partenza per la nascita della Chiquita. Baker, infatti, entrò in società con Andrew Preston, un grossista di Boston, che gli suggerì inoltre di dotare le cabine delle proprie navi di grandi quantità di ghiaccio per evitare che la merce marcisse prima di arrivare a destinazione. Fu proprio per il commercio delle banane che Preston e Baker inventarono il primo sistema di trasporto marittimo refrigerato su larga scala.
La United Fruit Company, oggi conosciuta come Chiquita, nacque qualche anno più tardi, il 30 marzo 1899, dall’unione dell’attività di Preston e Baker e dell’imprenditore americano Minor Cooper Keith, che controllava oltre 300.000 ettari di bananeti in Costa Rica. Chiquita venne definita in modo dispregiativo “El Pulpo”, la piovra, per via della veloce espansione e delle molte acquisizioni in America Latina. Oltre al predominio sulla produzione e la commercializzazione delle banane, la United Fruit cominciò fin da subito a comportarsi come entità parastatale: ottenne concessioni dai governi centramericani per costruire magazzini, ferrovie, strade. Si diffuse proprio come una piovra, imbrigliando con i suoi tentacoli decine di migliaia di ettari di terreno coltivabile in Giamaica, Costa Rica, Colombia, Ecuador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama.
Tra Banana Republics e colpi di stato
La United Fruit Company nei primi vent’anni del Novecento era ormai un colosso dal valore di più di 1 miliardo di dollari, che godeva del supporto politico e militare del governo americano. Le concessioni ottenute in America Latina, infatti, furono favorite dall’intervento dei Marines, finalizzato a istituire governi fantocci graditi agli Stati Uniti, che non ne ostacolassero gli interessi economici e permettessero di aumentare il numero delle piantagioni, le cosiddette “Banana Republics”.
Il 5 dicembre 1928 a Ciénaga, in Colombia, i lavoratori delle piantagioni di banane entrarono in sciopero e il governo di Washington minacciò di inviare i Marines, se il governo colombiano non avesse agito per proteggere gli interessi della United Fruit. L’esercito aprì il fuoco contro centinaia di operai e contro le loro famiglie, radunate dopo la messa domenicale. Ma questo fu solo il primo dei molti episodi che videro il governo americano e i suoi interessi economici strettamente legati a quelli della United Fruit. Nel 1954 il presidente guatemalteco Jacobo Árbenz Guzmán divenne un avversario pericoloso per l’azienda. La United Fruit Company, infatti, arrivò a possedere il 70% del terreno arabile guatemalteco senza pagare alcun tipo di tassa e sfruttando solamente un quarto di tutto quel territorio. Arbenz, dunque, insediatosi come presidente, decretò che tutte le terre inutilizzate dalla United Fruit sarebbero state ridistribuite ai contadini guatemaltechi. Dopo tale affronto, la Casa Bianca autorizzò la CIA a entrare in contatto con il colonnello Carlos Castillo Armas, che, addestrati centinaia di guerrieri guatemaltechi, divenne presidente del paese dopo le dimissioni di Árbenz a seguito del golpe militare.
Insomma, dietro a un semplice frutto esistono interessi economici giganteschi, che hanno portato e portano tutt’oggi alla violazione dei diritti di migliaia di lavoratori – soprattutto donne e migranti, sottopagati ed esposti all’uso di pesticidi e fertilizzanti tossici- e al disboscamento di migliaia di ettari di foreste, con la conseguente distruzione di interi ecosistemi.
Lorenza Re
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