Roger Waters e Dark Side of The Moon Redux: una sfida probabilmente impossibile

Quest’anno, a marzo, si è celebrato il 50esimo anniversario di Dark Side of the Moon, l’ottavo album in studio della rock band britannica progressive e psichedelica Pink Floyd. È un album importante e il modo in cui il mondo musicale lo tratta ancora oggi ne è la prova: compare frequentemente nelle classifiche dedicate ai “migliori album di sempre”, è considerato come come uno dei punti di svolta della storia del rock, è visto come l’apice artistico della carriera della band e continua ad essere ricordato con nostalgia da chi ha vissuto la propria adolescenza negli anni ‘70 e con ammirazione da musicisti. Anche chi non conosce bene la musica dei Pink Floyd ha almeno sentito parlare di Dark Side almeno una volta.

Ecco, allora, che Roger Waters, co-fondatore della band, annuncia a Luglio l’arrivo di una nuova versione dello storico album. Lo stesso Roger Waters che – come i fan della band sapranno bene – è diventato una figura alquanto controversa. Lo scontro di idee tra il bassista e il resto della band, specialmente con David Gilmour, voce e chitarra del gruppo, è sempre stato un hot topic da quando le prime notizie sulla loro rivalità interna iniziarono ad arrivare ai fan. E quindi, nell’85: lascia la band definendola “uno spreco di tempo”, la dichiara defunta senza di lui e, prima dell’arrivo dell’album A Momentary Lapse Of Reason, apre una battaglia legale contro Gilmour e Nick Mason per stabilire a chi spettasse portare avanti il nome del gruppo. Battaglia che Mason e GIlmour vincono. E Waters si guadagna così una strana reputazione tra i fan: è rispettato per il suo lavoro da paroliere e strumentista, ma anche giudicato e criticato per essere stato colui che, a detta di molti, ha aperto la strada per la fine dei Pink Floyd. Non aiuta il fatto che, nel febbraio di quest’anno, si sia ritrovato in un turbine di controversie politiche e non, il cui picco per i fan sono state le sue dichiarazioni sugli ex-membri: «Ho scritto io The Dark Side Of The Moon. Smettiamola con quella stronzata del “noi”! Ovviamente eravamo una band, eravamo in quattro, abbiamo contribuito tutti, ma è il mio progetto e l’ho scritto io. Quindi… blah!», dice Waters in un’intervista rilasciata per «The Telegraph». «Suoni la chitarra, canti e fai come ti viene detto dannatamente bene. Gilmour e [Wright]? Non sanno scrivere canzoni, non hanno niente da dire. Non sono artisti! Non hanno idee, nemmeno una. Non ne hanno mai avute e questo li fa impazzire».

Come dirsi tra i più giovani, questa uscita dai fan è stata considerata un po’ una boomerata da parte sua. In breve se i Pink Floyd e la loro fanbase fossero una tavolata a Natale, Waters sarebbe quel tuo zio o nonno o qual si voglia che ha sempre avuto tanto da dire, ma non necessariamente con un qualche senso o logica o anche tatto. Ma ha fatto molto per tutti, si hanno delle belle memorie attaccate alla sua presenza anche se le sue idee sul mondo sono totalmente il contrario del resto dei presenti, e quindi continua ad essere invitato. E tu continui a scartare i regali, ignaro. E in questo caso il regalo è una versione re-immaginata di Dark Side of the Moon, creata solo da Waters senza nessun input da parte di chi, all’album originale, ci aveva lavorato: Dark Side of the Moon Redux.

Roger Waters e la copertina di Redux. (Fonte: https://ultimateclassicrock.com/roger-waters-dark-side-of-the-moon-redux/)

Waters spiega in un comunicato stampa che «Dave, Rick, Nick ed io eravamo giovanissimi quando abbiamo creato [l’originale], e se guardi il mondo attorno a noi, chiaramente il messaggio non è stato duraturo. Ecco perché ho iniziato a considerare quello che la saggezza di un ottantenne potrebbe implementare in una versione re-immaginata». I temi di Dark Side sono, effettivamente, eterni: si parla dello scorrere inesorabile del tempo, della morte, dell’ossessione del mondo moderno con i soldi e molte altre sfaccettature della vita. Tutti dei temi e dei motivi portanti per cui l’album sopravvive ancora oggi.  E ancora, in un video introduttivo al progetto: «[il progetto non ha intenzione di] superare [l’album originale] o sostituirlo, ma per ricordarlo, come un aggiunta ad esso e per portare avanti il lavoro del concept originale dell’album originale e di tutte le canzoni originali».

E quindi, dopo le dovute premesse, esce il primo brano Redux: Money. Se i commenti di YouTube sotto al video e le recensioni del brano sono indicativi di qualcosa, è che Waters non riesce a convincere i fan. Sul sito «Album of the Year», che potremmo considerare una versione musicale del suo cugino cinematografico «Letterbox», il brano ha uno score di 17 su 100. Con una voce graffiata alla Tom Waits e una sezione “spoken word” che rigurgita frasi fatte, il brano sembra uscito da quello strano fenomeno che aveva preso per la gola l’industria musicale dei primi anni 2010, quella moda di prendere canzoni synthpop degli anni ‘80 e renderle “dark” – l’esempio più famoso è forse Everybody Wants to Rule the World dei Tears for Fears reimmaginata da Lorde, o anche il più distante Mad World, sempre dei Tears, con la sua più conosciuta cover di Michael Andrews. Perché se un testo è triste, allora anche la musica deve esserlo: eccetto non per forza! Per molti il punto forte di Money è sempre stato proprio il suo beat accattivante e il suo ritmo incalzante, come ad invitarti lui stesso in quel mondo di avidità e capitalismo descritto nel testo, cercare di farti capire perché qualcuno vorrebbe viverci e perché si vorrebbe piegare al dio danaro. Ancora: Money Redux non esiste per sostituire l’originale, ma al primo impatto sembra che l’essenza stessa della canzone sia persa per inserire frasi più indelicate e dritte al punto. E cosa dice del progetto di Waters questo apparente non volersi fidare dell’intelligenza dell’ascoltatore, dovendo rendere ovvio un messaggio?

Le versioni Redux di Time e Speak To Me/Breathe, uscite successivamente, sono state meglio apprezzate, seppure viste ancora con un occhio di incertezza. Anche se sonicamente sulla stessa base di Money Redux, le tracce suonano come una riflessione di Waters sulla propria gioventù passata. Ma non basta a coprire il chiaro problema: tutte le canzoni sembrano assomigliarsi troppo, in quello che dovrebbe essere un accompagnamento ad un progetto decantato per la sua poliedricità nelle tematiche e nei suoni. E non mancano anche qui aggiunte ai testi originali, sempre parlati, sempre un po’ troppo ovvi.

Purtroppo non si può mai basare un opinione su un album su solo tre singoli: Dark Side of the Moon Redux uscirà ufficialmente il 6 ottobre e finché non avremo la versione completa tra le mani non sapremo se il progetto riuscirà a farsi distinguere nel meglio o nel peggio. Una cosa è certa però: se fallirà per la critica e per i fan, Roger Waters potrà continuare a essere ricordato come la pecora nera della storia della band. Ma, almeno, ne potremo apprezzare il coraggio e la voglia di voler ricatturare lo stesso “fulmine nella bottiglia” che aveva acchiappato insieme a Nick Mason, Richard Wright e David GIlmour nel lontano ‘73. Cosa, magari, leggermente impossibile – ma non ditelo a Waters, o alla tavolata potrebbe scoppiare l’ennesima discussione.

Gaia Sposari

Fonte immagine in evidenza: https://www.amazon.it/Dark-Side-Moon-Redux/dp/B0CC9S2B1P

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