Marcello Spinetta e Christian Di Filippo sono due attori incredibili, che portano sul palcoscenico tutta la passione e la dedizione richieste dall’arte della recitazione. Scopriremo insieme alcuni “dietro le quinte” del loro percorso e dei loro pensieri sul teatro. Non solo hanno un’eccellente preparazione artistica, ma mostrano anche l’umiltà necessaria per non smettere mai di migliorarsi. Loro riescono a raggiungere l’obiettivo di ogni attore: portare la propria umanità sul palcoscenico per brillare e illuminare i volti della platea. Un ringraziamento per la loro disponibilità e gentilezza.
- Qual è stato il vostro percorso di studi?
M = Dopo il liceo scientifico, mi sono iscritto a ingegneria elettrica. Sono daltonico e ingegneria elettrica non era il massimo perché i circuiti sono rossi e verdi, ma l’ho capito dopo l’iscrizione. Facevo il pendolare e il lunedì andavo a Milano per seguire la lezione di analisi. Dovevo giustificare due ore di viaggio, non potevo andare fin là solo per un’ora di lezione. Mi sono trovato una qualsiasi cosa da fare: un corso di teatro, presso il Centro Teatro Attivo. Andavo una volta a settimana, poi due, tre, quattro volte e alla fine facevo sempre più teatro e sempre meno matematica. Nel 2012 ho fatto i provini per la Scuola del Teatro Stabile di Torino e sono stato preso. Dal 2012 al 2015 ho seguito il corso triennale dello Stabile. Christian ed io eravamo in classe insieme, il direttore del corso era Valer Malosti.
C = Io ho fatto il liceo classico per sei anni. Questa è stata la mia fortuna perché, se non fossi stato bocciato, non sarei mai entrato allo Stabile di Torino, dato che le selezioni vengono fatte ogni tre anni. Prima dello Stabile, avevo recitato solo in due commedie in vernacolo, perché mio papà ha una compagnia amatoriale. Quando ancora non sapevo l’esito dei provini per lo Stabile, ho frequentato un giorno di lezioni all’università di lingue e ho detto: “Se non mi prendono, gli appunti ce li ho già”. Ho fatto lezione di russo ed è stata meravigliosa, quindi ho pensato: “Se non mi prendono, torno a fare russo”. Alla fine, mi hanno preso e ho studiato qui a Torino dal 2012 al 2015.
- Vi ricordate il giorno in cui avete saputo di essere stati presi allo Stabile di Torino?
C = Quando sono stato preso, dopo la seconda selezione, ero sull’autobus. Stavo andando in stazione per prendere il treno per tornare in Puglia. Ricordo tutto: l’autobus, l’orario, le persone intorno a me.
M = Eravamo rimasti in quaranta all’ultima selezione e ne hanno presi venti. La segretaria ci ha detto che ci avrebbero chiamato la mattina dopo, sia in caso di esito positivo che negativo. Fissavamo tutti il telefono. Mi ricordo che, quando è arrivata la chiamata, avevo il cuore a palla. Non volevo rispondere, poi ho risposto ed è andata bene. Mi ricordo che c’era un viale, ho corso avanti e indietro per un giorno intero.
- Nel 2018, insieme a Marta Cortellazzo Wiel, avete fondato la compagnia teatrale AMAranta Indoors. Come è nata l’idea e qual è il significato di questo nome?
C = È nata perché volevamo lavorare insieme, sia per questioni personali che professionali, e avevamo trovato dei testi che ci piacevano. AMAranta Indoors è un nome composto: l’amaranta è una pianta infestante, che cresce anche se la tagli, e indoors indica che il nostro lavoro è nato in casa, perché non avevamo e non abbiamo una sala prove. Vorremmo infestare i teatri partendo dalle case. Un’idea è quella di fare spettacoli in casa, ci interessa molto.
- Complimenti per lo spettacolo La tecnica della mummia, con cui avete vinto il Premio nazionale Scintille 2023. Perché avete deciso di portare in scena questo testo di John Mortimer?
M = L’abbiamo trovato casualmente. Non conoscevamo questo autore, molto rappresentato in Inghilterra, ma poco in Italia. Cri ed io abbiamo iniziato a cercare testi a due, perché Marta in quel periodo era impegnata. Non avevamo tematiche precise che volevamo affrontare. Abbiamo trovato questo testo, che ci ha affascinato perché era abbastanza sconosciuto. Il titolo originale è Difensore d’ufficio, è un testo degli anni ’60. Mi ricordo che l’abbiamo letto insieme velocemente perché la storia ci ha subito preso. Christian, il drammaturgo della compagnia, ha sviluppato alcune parti del testo, per cercare di aggiungerci qualcosa di nostro. Quello che mi piace di più di questa storia è l’assurda amicizia che nasce tra due persone che all’inizio sono agli opposti. Lo spettacolo parte con una mano che non viene data e si conclude con una mano che viene data: questo per noi è l’arco dello spettacolo. A livello più profondo, è importante il fatto che uno abbia bisogno dell’altro.
- Questo spettacolo è un affascinante gioco metateatrale in cui, come una matrioska, gli attori recitano una parte nella parte. I personaggi immaginano e, grazie a ciò, si allontanano da un copione all’apparenza inevitabile. Voi utilizzate la recitazione per evadere dalla realtà? È vero che l’immaginazione è un salvagente?
C = È difficile. Sicuramente sì, quando tutto intorno diventa noioso, se uno si rifugia nell’immaginazione, si crea un mondo più epico e interessante. Questo discorso può essere affrontato come un’arma a doppio taglio, perché vuol dire che il tuo mondo è sempre migliore di quello reale, ma non è così. È pur vero che viviamo in un’epoca in cui non ci è concesso immaginare, perché tutto ci arriva velocemente. Quando ci prendiamo la responsabilità di farlo, abbiamo la capacità di mutare quello che c’è intorno a noi. A me piace l’idea che i due personaggi di questo spettacolo siano dei falliti. Come diciamo nella nostra scheda di regia, vi è la questione del fallimento non solo di queste due personalità, ma anche della realtà stessa. Quando fallisce la realtà, come spesso accade alla nostra, si inizia a immaginare.
- Personalmente, vi ritrovate in questo?
C = Sicuramente ci sono dei lati di noi. Ci ho messo del mio e ho portato il personaggio a me: è una danza continua.
M = Spesso ci chiedevamo come sarebbe stato lo spettacolo se avessimo invertito i ruoli. Secondo me, così è il modo giusto, perché si avvicina a come siamo noi. Ogni volta che interpreti un personaggio, devi partire da te: non è mai com’è quel personaggio, ma come io farei quel personaggio. Non devo allontanarmi troppo da me, sennò perdo la strada.
C = Usi questo per far vedere agli altri cos’è l’umanità.



Anna Baracco
