Nella mattina di mercoledì 19 giugno — al San Camillo di Roma — è morto Satnam Singh, il bracciante indiano trentunenne ricoverato in seguito a un terribile incidente sul lavoro, che gli era costato un braccio amputato e gli arti inferiori schiacciati. Nonostante diverse operazioni chirurgiche, Satnam è peggiorato progressivamente, fino alla morte cerebrale.
L’incidente è avvenuto lunedì 17 giugno, nei pressi di Borgo Santa Maria, provincia di Latina. Satnam lavorava da ben dodici ore quando il braccio e gli arti sono rimasti schiacciati nel macchinario avvolgi plastica: Satnam perde il braccio e riporta altre fratture gravissime. Il suo datore di lavoro, al posto di chiamare i soccorsi, fa salire su un pullmino a nove posti Satnam e la moglie Sony, 24 anni, anche lei dipendente della stessa azienda agricola, e li “scarica” davanti alla loro casa. Dalle ricostruzioni, i primi a prestare soccorso ai due sono stati i loro vicini, Noemi e Ilario, praticamente coetanei della coppia. La testimonianza di Noemi è agghiacciante: Antonio Lovato, 38 anni, lascia Sony e Satnam, gravemente ferito, nel cortile di casa, il braccio amputato in una cassetta di frutta poggiata vicino alla spazzatura. Mentre Sony, sotto choc, chiede disperata alla coppia di chiamare l’ambulanza perché il marito è ancora vivo, il trentottenne dice di lasciar perdere, «tanto era morto». «E poi non è vero che lui (Lovato, ndr) ha aspettato i soccorsi, perché è scappato», commenta ancora Noemi. Renzo Lovato, padre di Antonio, parla di «una leggerezza del lavoratore, costata cara a tutti».
L’incidente è stato denunciato da Hardeep Kaur, segretaria generale di Flai CGIL – Latina, che durante la giornata di lunedì aveva ricevuto una segnalazione da un collega di Satnam. «Qui non siamo solo di fronte a un grave incidente sul lavoro, cosa già di per sé allarmante e evitabile, qui siamo davanti alla barbarie dello sfruttamento, che calpesta le vite delle persone, la dignità, la salute e ogni regola di civiltà», commenta Kaur. «Non si può lavorare in queste condizioni».
La condanna della politica è stata univoca: la premier Giorgia Meloni parla di «atti disumani che non appartengono al popolo italiano», augurandosi che «questa barbarie venga duramente punita»; la ministra del Lavoro, Margherita Calderone, esprime «cordoglio ai familiari e impegno a fornire ogni assistenza alle autorità per verificare i fatti e fare in modo che chi li ha commessi venga punito», impegnandosi nell’essere «ancora più incisivi nella lotta al (lavoro, ndr) sommerso»; Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, ai microfoni del TG1, afferma che Satnam sia «morto per una cultura dello sfruttamento che continua a trovare legittimità»; dure le condanne anche da parte di Pd e 5 Stelle, che definiscono quanto successo come un «atto bestiale». La regione Lazio ha intanto annunciato che si farà carico delle spese del funerale, e che, come il comune di Latina, in caso di processo si costituirà parte civile.
«Ho visto l’incidente» — racconta Sony — «c’era sangue ovunque, credevo ci portassero in ospedale». E continua: «il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messo sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi». Antonio Lovato è ora indagato per omicidio colposo e omissione di soccorso. Secondo i testimoni, tra cui anche la moglie, Singh ha perso sangue per un’ora e mezza prima dell’arrivo dell’ambulanza. L’autopsia sul corpo dell’uomo chiarirà se l’uomo si sarebbe potuto salvare, fosse stato portato subito al Pronto Soccorso.
Satnam lavorava in nero, senza documenti, 14 ore al giorno. Lavorava con qualsiasi condizione metereologica, per una paga che andava dai 3 ai 4,50 euro l’ora, per un padrone italiano. Faceva parte di tutti quei lavoratori invisibili, ad oggi quasi 230.000, che lavorano in nero nei campi del nostro paese. L’Agro Pontino in particolare è una delle aree dove lo sfruttamento dei braccianti, quasi tutti indiani di religione Sikh, è estremamente radicato.
Il sistema del capolarato va combattuto. Va combattuto senza ipocrisie e senza ricorrere a letture semplicistiche che vedono nella sua “regolamentazione” la risposta al problema. Va combattuto perché la sua normalizzazione altro non è che il volto più disumano del più barbaro sfruttamento di migliaia di lavoratori invisibili, volto a tutelare i profitti dei grandi monopoli agricoli. E insieme a esso va combattuto il sistema che ne permette la sopravvivenza e la prolificazione, un sistema fondato sul sangue di molti per il profitto dei pochi.
Queste sono le parole che il ministro dell’agricoltura Lollobrigida avrebbe potuto pronunciare oggi durante l’incontro tra ministeri, sindacati e imprenditori — chiamato insieme alla ministra del lavoro Calderone — per “dichiarare guerra” al caporalato, come si sono promessi di fare durante l’incontro. Il ministro ha invece preferito lanciare un appello affinché non si criminalizzino le imprese agricole per la morte di un operaio. I criminali, in fondo, si trovano in qualsiasi settore, non si criminalizzi un solo anello della filiera!
E mentre Lollobrigida pronuncia queste parole, da Brembio viene diffusa la notizia della morte di Pierpaolo Bodini, un ragazzo di 18 anni, schiacciato anche lui da un mezzo agricolo.
Erica Bonanno

🎀 Accanto alla sub-umanita’ emersa col fatto di cronaca, MI CHIEDO come mai il titolare dell’impresa, vecchio caporale indagato da anni, fosse ancora in piena attività.
Il Pd che oggi si sdegna, dov’era durante il suo governare?
Credo che sia necessario andare alla radice dei fatti. perche’ lì’ si trova il perché di quanto accade.
Non e’ bastevole prendere in esame l’ultimo anello della catena seppure sia allucinante.
Buona giornata!
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Anzitutto un pensiero va di dovere al povero bracciante che ha perso un braccio, oltre alla propria vita. In seconda battuta urge una riflessione, chiaramente l’animale, perché così va definito, che non solo non ha prestato soccorso ma si è pure degnato di appoggiare il braccio in una cassetta vicino al corpo, a tempo debito, dovrà fare i conti con la propria coscienza. Escluso lui però, la riflessione si estende a tutti noi, credo si debba urgentemente riprendere in mano una situazione sociale/umanitaria che è sfuggita totalmente di mano.
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Sono un delegato sindacati da tanto tempo anche se in un settore assai diverso. Non ne posso più di queste tragedie. In questo paese è morta la cultura della dignità del lavoro. Con quella salma si è sepolta la solidarietà. Penso alle grandi lotte dei braccianti del Sud, a Di Vittorio. Di quella stagione si è persa la memoria anche quella sepolta in nome di facili e cinici arricchimenti.
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