«Membra sumus corpore magni» (“Siamo membra di un unico corpo”), così scrive nell’Epistula ad Lucilium 95 Seneca, filosofo, drammaturgo e politico romano, esponente dello stoicismo in età imperiale. Nella sua copiosa produzione pervenutaci, Seneca affronta il tema della solidarietà, che descrive come parte integrante della natura umana e fondamento naturale e inevitabile per l’esistenza stessa della società. Seneca, in particolare, paragona la società umana a una volta di pietre, visibili ancora oggi passeggiando per i Fori Imperiali di Roma: se tutte le pietre non si reggessero a vicenda, l’arco crollerebbe; allo stesso modo, senza la solidarietà tra gli uomini, la società andrebbe in rovina.
Nessun autore antico — come si evince anche dal De Ira — ha deplorato più di Seneca la follia delle guerre, la voluttà di sangue che trasforma l’uomo in una belva. È troppo poco limitarsi a non far del male, bisogna impegnarsi a far il bene con spirito d’amore, soprattutto a favore di coloro che ne hanno più bisogno. Seneca esorta a tenere sempre a mente le parole pronunciate — a giustificazione della curiosità e della debolezza della natura umana — dal vecchio Cremete nell’Heautontimorumenos del commediografo Terenzio vissuto nel II secolo a.C.: «Homo sum, humani nihil mihi alienum puto» (“Sono un essere umano, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me”). Cremete si rivelerà una figura centrale per l’unione di due giovani innamorati, Clinia e Antifilia, divisi per ceto sociale e aspettative famigliari.
Queste parole sono state riprese anche da Marziale, poeta romano del I secolo d.C., nell’Epigramma 10.4, dove espone le ragioni che lo portano a coltivare il genere epigrammatico a discapito di generi elevati quali l’elegia o la tragedia. Con l’espressione «Hominem pagina nostra sapit» (“La mia pagina ha sapore d’uomo”) e la precedente «Meum est» riferito alla vita, Marziale esprime la volontà di porre effettivamente al centro del suo interesse i comportamenti dell’uomo, la sua moralità e la sua capacità di autoanalisi, oltre a richiamare la formula terenziana. L’epigramma è un’iscrizione poetica molto breve, capace di condensare significati profondi in pochi versi.
L’humanitas, a cui questi autori fanno riferimento, è un sentimento di bontà universale, senz’alcuna discriminazione razziale, religiosa, sociale. E proprio dall’humanitas nasce la solidarietà: il sentimento di fraternità, frutto della consapevolezza dell’appartenenza comune e della condivisione d’interessi, che trova espressione in comportamenti di reciproco aiuto e altruismo.
E tornando a Seneca ci si rende conto che egli dedica ampio respiro a questa tematica, su cui spende parole anche nel De Tranquillitate animi: «Questo è il dovere dell’uomo: aiutare gli uomini». O ancora nel De Beneficis: «Non importa ciò che si fa o si dà, ma con quale spirito, poiché il beneficio in sé non consiste in ciò che si fa o si dà, ma nella disposizione d’animo di chi dà o fa». Il miglior cemento della comunità civile, secondo Seneca, sarebbe appunto la generosità, la solidarietà, il favore disinteressato, in quanto quest’ultimo arricchisce spiritualmente e ci fa stare meglio anche senza aver ricevuto nulla in cambio.
Indubbiamente ritroviamo numerosi aspetti della religione cristiana allora in espansione, da cui Seneca fu influenzato: il disprezzo per i beni materiali, l’orrore nei confronti della guerra, la morte come inizio della vita eterna, l’importanza dell’esame di coscienza, l’idea secondo cui la sventura provvidenziale è un modo per migliorarci, il monito a seguire la retta via, anche se più difficile, e ovviamente la tematica della solidarietà. Si ricordi, però, che per Seneca la provvidenza è data da un ordine naturale e non è quindi frutto del disegno divino e che mentre per i cristiani la salvezza risiede nella Fede, per il filosofo stoico essa è riposta nella Ragione. E come i predicatori cristiani d’origine, in Seneca si riscontra una delle abilità più apprezzabili del suo stile, su cui lo studioso Concetto Marchesi invita a porre attenzione: l’uso di un lessico semplice per esprimere concetti profondi.
Nicole Zunino
Fonti: G. Conte, E. Pianezzola, Forme e contesti della letteratura latina. L’età imperiale, Mondadori, Milano, 2021
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