“Perchè ti sei sposata?”
“Ormai mi ero vestita.”
C’è stato un periodo durante il quale un prodotto italiano è stato il più autorevole al mondo nella sua categoria. Non era il più venduto, anzi, lo smercio era minore di quello dei rivali omologhi, bensì il più ammirato oggetto di culto e di collezionismo nel mondo: sto parlando della rivista di moda Vogue Italia sotto la direzione di Franca Sozzani dal 1988 al 2016. La direttrice, il cui profilo elegante con i lunghi ondulati capelli biondi e gli orecchini d’epoca è diventato un’icona della moda, raccontava come un vanto il suo aver fatto sempre l’opposto di ciò che le ricerche di mercato suggerivano.
Iniziò a lavorare in Vogue nel supplemento Bambini nel 1973. La giovane Franca amava la moda, soprattutto dopo il suo viaggio a Londra nel 1967, dove si respirava un’aria di libertà, una ventata antiborghese che si esprimeva anche attraverso i vestiti, quelle minigonne e quegli abiti colorati dalle linee semplici, così diversi da ciò che si indossava in Italia, espressione di una società ancora classica e borghese. Amava la moda, dicevamo, ma trovava orrenda quella per bambini, e odiava i bambini stessi, che “erano noiosi, urlavano, non si riuscivano a vestire”. Nonostante questo, fece il suo lavoro con perizia e nel 1980 venne nominata direttrice di Lei, la versione italiana di Glamour, per poi approdare a Vogue nel 1988, tutte riviste del gruppo editore Condé Nast, di cui diventò direttrice generale per l’Italia nel 1994.
Già il primo numero da lei diretto, quello di Vogue Italia luglio/agosto 1988, metteva le cose in chiaro: “un nuovo stile“, recitava la copertina, che ritraeva una modella con una semplicissima camicia bianca, un’immagine pulita e, nel suo contesto, rivoluzionaria. Nel primo periodo Franca lavorava con la consapevolezza di poter essere licenziata da un momento all’altro. Aveva, infatti, deciso di rivolgersi ai grandi nomi della moda internazionale, lasciando scontenti i piccoli partner italiani, la cui mancanza di innovazione aveva finito per creare una situazione in cui nella rivista le pagine più interessanti erano quelle pubblicitarie.
A proposito di pubblicità, anche la sezione marketing della rivista era preoccupata dalle scelte di Franca, come quella di togliere spazio ai vestiti, per inserire come doppia pagina centrale la foto di un’ansa ghiacciata della Neva, per il servizio Winter a St. Petersburgh del luglio 2006. Lo faceva perché la sua era una nuova maniera di concepire moda, che non riguardava più solo i capi di abbigliamento: si trattava di raccontare delle storie, di creare delle atmosfere, di trasmettere un sogno, e nei sogni non si può essere avari, bisogna essere grandiosi. La sua era una visione che evitava il compromesso, nutrita di umorismo e di una leggerezza che si può permettere solo chi è abbastanza profondo, tratti che le permettevano di esprimere sé stessa e di dare agli altri la possibilità di esprimersi. Franca, infatti, riuscì a ridare autorevolezza alla rivista collaborando con alcuni dei più grandi fotografi del periodo, che lei chiamava “interpreti dei sogni“, lasciando a loro completa libertà artistica. Per il suo Vogue sceglieva fotografi che erano anche cantastorie, come Bruce Weber, Peter Lindbergh e Paolo Roversi. Con Stevel Meisel si trovò così bene da fargli firmare tutte le copertine dei suoi 27 anni di direzione, come quella storica con Madonna, del febbrario 1991, la prima celebrità su Vogue.
Con i suoi servizi Franca voleva fare riflettere i lettori, trattare temi attuali e sociali, dare corpo a quelle idee che le venivano soprattutto quando era arrabbiata. È indimenticabile il numero dedicato ai disastri ambientali dell’agosto 2010, dove le modelle furono ricoperte di petrolio. Il servizio fu reputato grottesco, offensivo e ridicolo da alcuni, da altri vera arte e la vetta più alta raggiunta dalla moda. Per Sozzani non si trattava di cattivo gusto, ma neanche di arte: per lei quel servizio è un racconto della nostra realtà. Il numero sulla chirurgia estetica, del luglio 2005, è stato paragonato alla pittura satirica di William Hogarth, ma Franca qui non voleva prendere in giro nessuno, bensì, di nuovo, dare una testimonianza. Con lei la rivista di moda non conobbe più limiti in quanto temi da trattare, che andavano dalla guerra al clima di paranoia successivo all’11 settembre, dalla cultura del rehab alla violenza sulle donne. Quest’ultimo probabilmente fu il suo servizio più controverso e per cui molti si dissero delusi, lamentando l’estetizzazione di un grave fenomeno sociale; eppure lei lo rivendicò sempre come il suo personale contributo alla lotta contro il fenomeno stesso.
Il servizio di cui si dichiarò più orgogliosa era il Black Issue, ristampato tre volte e arrivato alla quotazione di 2mila 500 dollari su eBay, oggetto di vero proprio culto da parte della comunità nera nel mondo. Ancora nel 2008, infatti, chi fosse andato a una sfilata di moda avrebbe notato, come Franca, la quasi totale assenza di modelle nere. Franca, allora, notando come fossero in molti a discutere del problema, ma anche come non si fosse mai fatto nulla di concreto, decise di dedicare a loro un intero numero di Vogue, un numero di protesta.
Con Franca Sozzani le riviste di moda, dall’essere un frivolo intrattenimento sono diventate un polo d’attrazione culturale. La sua è un’eredità importante per l’editoria di moda italiana e serviranno molto impegno, umorismo e leggerezza per tentare di esserne all’altezza.
Giulia Menzio
Due consigli per approfondire:
Il documentario Franca Chaos and Creation diretto da Francesco Carrozzini – suo figlio – disponibile su Infinity
Il libro I capricci della moda, edito da Bompiani, che raccoglie i post sul blog della direttrice durante l’anno 2010.
Fonte immagine in evidenza: yesmilano.it

