La disciplina dell’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) negli anni ha visto limitare sempre di più la sua applicazione, fino alla recente abrogazione.
La formulazione originaria del 1930 prevedeva due figure di reato: il troppo generico interesse privato in atti d’ufficio (art. 324 c.p.) e l’abuso innominato (art. 323 c.p.). Il pubblico ufficiale (p.u.) rispondeva se commetteva un qualunque illecito amministrativo che doveva essere connotato dal fine di arrecare agli altri un danno o un vantaggio. Era una disposizione dal contenuto amplissimo.
La riforma del 1990 ha portato all’abrogazione dell’art. 324 c.p. e alla riformulazione dell’art. 323 c.p. Il p.u. o l’i.p.s. (incaricato di pubblico servizio) doveva abusare l’ufficio con una finalità: procurare un vantaggio non patrimoniale, o arrecare un danno ingiusto, o arrecare un ingiusto vantaggio patrimoniale (finalità più grave). La questione principale riguardava la condotta: l’abuso si consumava attraverso la realizzazione di un atto amministrativo o un comportamento incompatibile. Occorreva allora accertarsi della presenza di un vizio dell’atto amministrativo. Doveva esserci una violazione di legge, l’incompetenza o l’eccesso di potere (sviamento rispetto allo scopo originario dell’atto). Si trattava, quindi, di un reato a condotta con dolo specifico.
La riforma del 1997 ha visto una forte contrazione della rilevanza penale dell’abuso d’ufficio prevedendo un reato ad evento. La condotta aveva due modalità: violazione di norma di legge o di regolamento o l’omissione di astennsione in presenza di conflitto di interessi. L’intenzione del legislatore è stata quella di eliminare la rilevanza dell’eccesso di potere. Una parte della giurisprudenza e della dottrina però hanno sostenuto che con “violazione di norme di legge” può intendersi anche l’art. 97 Cost. che obbliga a rispettare i principi del buon andamento e della imparzialità della p.a. Se un p.u. realizza un eccesso di potere tiene una condotta che viola l’art. 97 Cost.: l’eccesso di potere rileva. Era necessario (l’evento) che la condotta procurasse un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecasse ad altro un danno ingiusto (rispetto alla riforma precedente scompariva il vantaggio non patrimoniale). Serviva poi il dolo intenzionale e vi era un inasprimento delle pene.
La riforma del 2020 ha preso in considerazione l’emergenza sanitaria in corso. Occorreva semplificare l’attività amministrativa. Nella riforma del 2020 la struttura del reato rimaneva identica. L’unico elemento di differenza era che nel 1997 il legislatore aveva detto “in violazione di legge o regolamento”, nel 2020 vi era una disposizione più specifica: “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Il legislatore ha, cioè, tagliato fuori tutti i regolamenti. Serviva una violazione di legge, la quale doveva prevedere puntuali regole prive di margini di discrezionalità. Non veniva modificata, invece, l’ipotesi di non astensione in presenza di conflitto di interessi.
Anche questa fattispecie è stata letta dai magistrati ampliandone gli ambiti di applicazione. La riserva di legge è assoluta in materia penale ma con dei temperamenti perché si può prevedere l’intervento di fonti subordinate, seppur in via di specificazione di elementi che sono contenuti nella legge: si parla ovvero del riferimento alla norma interposta. La giurisprudenza ha poi insistito nuovamente sulla rilevanza dello sviamento di potere in quanto esso porta alla violazione della ratio della legge (interpretazione forse un po’ forzata).
La legge 114/2024 abroga l’abuso d’ufficio. La maggior parte della dottrina ha criticato duramente questa riforma. A favore dell’abrogazione ci sono ragioni quali l’incertezza applicativa e l’eccessivo controllo da parte della magistratura che determinava la c.d. “paura della firma”. Ma ciò aveva senso per la formulazione dell’articolo nel 1990, quando il concetto di abuso d’ufficio era molto generico. Già la formulazione del 1997 puniva il p.u. che violando legge o regolamenti aveva intenzionalmente provocato un vantaggio o un danno.
L’eliminazione dell’abuso d’ufficio contrae la tutela penale in modo irragionevole. Se l’abuso d’ufficio diventa una forma di corruzione o concussione si applicano quelle disposizioni. L’abuso d’ufficio però permetteva di punire delle condotte prevaricatorie. In contemporanea con l’abrogazione dell’art. 323, il legislatore ha introdotto l’art. 314 bis che punisce le condotte di distrazione dei beni pubblici, assorbendo così il peculato per distrazione, abrogato nel 1990 e prima confluito nell’abuso d’ufficio. Si tratta di una fattispecie che ha elementi del peculato e dell’ex abuso d’ufficio.
Il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale ritenendo che l’abrogazione ponga l’ordinamento penale in contrasto con la disciplina sovranazionale. È difficile che la Corte Costituzionale possa accoglierla perché dovrebbe far rivivere la disposizione precedente: la Corte deve rispettare il principio della riserva di legge.
Nicole Zunino
Fonte: R. Bartoli, M. Pelissero, S. Seminara, Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Giappichelli, 2024
