Ci sono volte in cui una serie TV parla all’intera generazione che la guarda. Per i primi millenials fu Friends, per i “late” è stata How I Met Your Mother, mentre per chi è venuto un po’ più tardi questo primato spetta quasi certamente a Fleabag. Eppure, questa serie – scritta e ideata da Phoebe Waller-Bridge – sembra la ripetizione di tecniche e schemi narrativi già visti: tanta camera a mano, reiterati sfondamenti della quarta parete (in cui la protagonista si rivolge direttamente agli spettatori), un’immersione continua nella vita quotidiana e vissuta. Allora come mai ha catturato in maniera tale così tante persone, al punto da aver raggiunto il 93% delle recensioni positive su Rotten Tomatoes, per giunta con l’autrice inserita tra le persone più influenti del 2020 secondo Variety?

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La sceneggiatura, di per sé, è molto inglese, con ritmi veloci e una comicità estremamente asciutta che ricorda altri capolavori della BBC, come Blackadder o The Office UK, ma aggiunge elementi drammatici che la rendono unica nel suo genere. La vera forza di questa serie, infatti, è il suo raccontare le avventure di una giovane donna perfettamente normale: non lavora in ospedale, come in Scrubs o in Dr. House – Medical Division, non vive con altre persone, come in Friends, non è al centro di un gruppo di amici, come in HIMYM. Fleabag è una donna sola, profondamente, che all’inizio della storia cerca validazione in una ipersessualità confusa ed erratica, frutto di una profonda insicurezza interiore. Con una madre morta, una sorella in carriera emotivamente distante e un padre del tutto incapace di mostrarle affetto in maniera funzionale, la protagonista si trova a dover fare i conti con il mondo da sola, spesso con esiti disastrosi. Il risultato è una commedia brillante e gustosa, ma che ogni tanto si fa da parte, rivelando la fragilità terrificante dell’esistenza dei personaggi che compongono la serie. Nella seconda stagione arriva un amore impossibile, quello per un sacerdote, di cui non si scopre mai nemmeno il nome; è attraverso di lui che il percorso di maturazione della protagonista arriverà a compimento. Fleabag riuscirà ad amare? Non è dato saperlo. La durata (perfetta) di sole due stagioni porta chi guarda a dover riflettere per conto proprio al riguardo.

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La tragicommedia dell’esistenza di Fleabag non si limita alla sua figura: si tratta pur sempre di una serie corale, malgrado la centralità del personaggio interpretato da Phoebe Waller-Bridge. Accanto a lei ci sono Claire, sua sorella, interpretata da Sian Clifford (L’ispettore Barnaby…), il loro padre, portato sullo schermo da Bill Paterson (Urla del silenzio, Riccardo III…), la loro matrigna, trasposta da Olivia Colman (The Iron Lady, The Lobster, La favorita…), ma soprattutto il personaggio chiave della seconda stagione: il sacerdote, i cui panni (o forse sarebbe meglio dire paramenti) sono indossati da Andrew Scott (Salvate il soldato Ryan, Sherlock, Black Mirror…). A mano a mano che si prosegue, i protagonisti si lasciano scappare, tramite la narrazione in prima persona di Fleabag, drammi, timori e assurdità, in un fiume in piena di vicende umane con cui non si può evitare di immedesimarsi, finendo per farsene travolgere interamente. Chi si trova a dover fare i conti a fine mese, a voler trovare il proprio posto in una grande città e nel mondo, a tentare di superare i traumi lasciati dalla propria famiglia, dal proprio passato, non può non rivedersi nelle avventure di questo gruppo di giovani adulti spaventati e soli, tra cui spicca una ragazza alle soglie della maturità che si ritrova a doversi confrontare con se stessa e coi propri errori (alcuni di questi gravissimi). I temi della serie, da quelli più seri ai più scanzonati e pittoreschi, sono veicolati attraverso un’ironia pungente e tipicamente British, con note di grottesco che non scivolano mai nel fuori luogo. Tutto è morbido, equilibrato, sensibile; fa commuovere e ridere col medesimo gusto.

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Insomma, Fleabag è una serie intensa e leggera al contempo, capace di arrivare a chiunque si sia ritrovato in difficoltà verso sé e gli altri, in un mondo sempre più individualista. È una serie che parla di crescita, in un periodo di incertezze e dubbi riguardo il futuro a mano a mano crescenti, di incomunicabilità con se stessi e col prossimo, con cui bisogna instaurare un rapporto, per quanto difficile possa essere. Ovviamente con ironia, perché quella alla vita non manca, come si suol dire.
Vincenzo Ferreri Mastrocinque
