“La libertà è una vertigine, porta con sé la responsabilità e questa mette in luce le nostre fragilità.”
È così che Matteo Saudino, per i fan BarbaSophia, introduce il suo libro Anime fragili – Un viaggio con Platone e Aristotele tra le vulnerabilità del nostro tempo all’incontro di venerdì 16 maggio presso il Salone Internazionale del Libro di Torino.
Siamo alla continua ricerca del senso della vita e cerchiamo le risposte nelle religioni, nelle divinità in cui crediamo o nella filosofia: tutte ragioni eteronome, ovvero esterne alla nostra esistenza. Non trascurabili neanche le ideologie politiche, le cui diverse sfumature diverse nei periodi storici hanno dato qualcosa in cui confidare. Eppure, ciò che al giorno d’oggi si potrebbe definire il fondamento della nostra quotidianità, il mezzo primario per la comunicazione nonché il supporto per molti mestieri, per Saudino non porta con sé il senso della vita: si tratta della tecnologia. È doveroso riconoscere il progresso favorito nel campo medico e scientifico, ma nel complesso non si può ignorare ciò che genera più timore per il nostro avvenire: l’intelligenza artificiale.
Le fragilità trattate nel suo libro sono sei: la solitudine, la mancanza di dialogo, l’assenza di verità, la crisi della politica, le inquietudini della tecnologia e il tabù della morte; queste debolezze della vita fanno da cornice alla storia dei suoi nonni, tra la loro storia d’amore e la condizione di partigiani.
La nostra capacità di pensare ci porta a farci domande, ad avere paure e insoddisfazioni ma anche desideri, e ci sono momenti in cui è più facile dare un senso alla vita, com’è successo ai nonni di Matteo, con la loro Italia da liberare e ricostruire.
L’individualismo oggi regna sovrano, ognuno pensa a salvare sé stesso: a dominare da decenni è una narrazione personalistica che impone il successo nell’individuo, nel suo lavoro, nella sua autorealizzazione indipendente. Saudino si oppone:
“È nella relazione che c’è il senso della vita.”
Rousseau pensava che l’essere umano nello stato di natura fosse buono, pacifico e libero e che fosse poi la società, a causa della corruzione e delle disuguaglianze di cui è impregnata, ad aver sabotato la sua condizione. Solo la democrazia può tentare di riavvicinarci ad un concetto di uguaglianza, con organismi come la fabbrica, il sindacato, le squadre sportive e la chiesa che portano alla collettività.
La scelta di ricorrere a Platone e Aristotele come figure chiave del libro è per la loro completezza e complementarietà: da una parte Platone, con le sue idee sulla vita, sulla morte, sull’arte, sulla politica e sulla scienza; dall’altra Aristotele per i suoi concetti sull’anima, sull’amicizia, sulla politica. Una volta presentate le fragilità si fa appello a loro, cercando nei loro remoti fondamenti le risposte per il nostro presente.
“Aristotele e Platone sono due antinichilisti, forse perché il nichilismo l’avevano già capito…Nietzsche si arrabbierebbe a questo punto.”
Focalizzandosi sulla fragilità della mancanza del dialogo, Saudino evidenzia che lo spazio e il tempo nella nostra società non lo favoriscono. Spazio e tempo non sono solo categorie in cui ci ubichiamo, ma sono anche dimensioni ontologiche dell’essere: noi esistiamo in loro. Eppure il tempo per interrogarsi sulla nostra esistenza non è mai abbastanza: le nostre vite sono frenetiche, con il lavoro, lo studio e i numerosi appuntamenti che programmiamo in un solo giorno, senza contare il tempo perso in rete. Per quanto ormai sia scontato, è forse Internet l’arma più letale per le conversazioni. Le videochiamate, i commenti sotto ai post, le reazioni (emoji, per intenderci) alle foto, per quanto sembri che ci tengano ‘in contatto’, non sono altro che forme spicce e limitanti.
La tecnologia dà il pretesto per dimenticare l’empatia e, si potrebbe osare dire, anche il coraggio: licenziamenti via mail, fine di relazioni o amicizie con messaggi vocali e – come Saudino non manca di spiegare, grazie alla sua esperienza da insegnante – i voti sul registro elettronico, che non permettono all’insegnante di stabilire un dialogo con l’alunno e a quest’ultimo di comprendere a pieno gli errori commessi durante la verifica dell’apprendimento.
“La solitudine sarà la malattia del ventunesimo secolo.”
Il mito di Prometeo, ripercorso con Saudino, ci fa riflettere ancora di più sull’ambivalenza della tecnologia: Prometeo dona il fuoco agli uomini rendendoli così autonomi e creativi, fornendo loro la tecnica. Gli dei prendono atto che quel fuoco a loro sottratto era stato usato dagli uomini anche per auto distruggersi e dominare l’uno sull’altro; allo stesso modo l’intelligenza artificiale simula e potenzia le capacità umane… ma se arrivasse a superarle in tutto e per tutto? È il rischio di perdere il controllo che continua a contraddistinguere noi umani; da questo si genera il timore di Saudino (e si può dire di quasi tutti noi) di essere sostituiti. Nel mito di Prometeo c’è un’apparente risoluzione: interviene Hermes, mandato da Zeus, e dona agli uomini il rispetto e il senso della giustizia. Forse è ciò che spetta anche a noi ritrovare.
“Se gli esseri umani non sono in grado di vivere in comunità e non mettono al centro la giustizia si uccideranno, sterminandosi e vivendo infelici. Perché la città giusta, per Platone, rende gli uomini felici.”
Giulia Frontino
