Ogni anno la Oxford Dictionaries assegna alla parola che più di tutte dimostra di incarnare lo spirito dei tempi il titolo di “Word of the Year”. Quest’anno il titolo è andato al termine “post-truth”, traducibile come “post-verità” o “post-fattualità”, in cui il prefisso post- (“dopo”) è inteso come indicatore di una situazione in cui la nozione è irrilevante.
Secondo l’istituzione accademica britannica, il termine ha visto un incremento di utilizzo pari a circa il 2000% durante l’anno, in particolare in articoli e discussioni relativi a due eventi chiave dell’anno passato: la controversa campagna referendaria promossa da Nigel Farage e dall’UKIP, che ha portato all’uscita (ancora da mettersi in atto) del Regno Unito dall’unione europea; e la combattuta e divisiva campagna elettorale statunitense che ha portato Donald Trump a diventare il Presidente Eletto (non ancora in carica) degli Stati Uniti d’America. In entrambe le campagne politiche, le parti hanno presentato dati, tesi e affermazioni false, continuando a sostenerle anche dopo che una verifica fattuale le aveva smentite.
Il punto della post-verità è proprio questo: non è rilevante cosa sia vero e cosa no. Conta solo l’effetto immediato che un’affermazione ha sull’opinione pubblica. Conta solo smuovere emotivamente la gente dalla propria parte e incassare “voti di pancia”. Anche da noi in Italia, nella campagna pre-referendaria al vetriolo che tutti abbiamo seguito, entrambe le parti hanno fatto propaganda puntando al sensazionalismo, fornendo dati inesatti, vaghi o inventati di sana pianta e divulgandoli come fossero verità divine, cercando di smuovere il popolo dalla loro parte.
Com’è possibile una cosa del genere? Come siamo arrivati a questo punto? La risposta non è univoca e molti fattori contribuiscono a gettare terreno fertile per questo nuovo approccio oscurantista alla comunicazione. Viviamo in tempi difficili in cui la precarietà della situazione economica, sociale e politica grava emotivamente sull’uomo della strada, rendendolo facilmente preda dei sensazionalismi. Un altro elemento importante è dato dalla profonda trasformazione che il mondo dell’informazione sta subendo. Nel ventesimo secolo, il contenuto informativo veniva acquistato e la sua veridicità era fondamentale: se un quotidiano avesse pubblicato troppe “bufale”, avrebbe finito per chiudere. Con l’affermarsi di internet -e in particolare dei social network- il pagamento per le informazioni è diventato collaterale. E per restare in corsa non conta dire cose vere, ma usare titoli sensazionali per spingere gli utenti a cliccare sul link e incassare qualche spicciolo dalla pubblicità. Non importa se leggano o meno, o che leggano una bufala.
Come sfuggire al pericolo di un “sonno della ragione collettiva”? Una sola cosa può salvarci: verificare quel che leggiamo. La verità è sicuramente là fuori, ma bisogna imparare a distinguerla nel mare di bufale che la sommerge.
Mauro Antonio Corrado Auditore
