EVEREST: la scalata del “tetto del mondo” tra anniversari e cambiamento climatico

L’Everest con i suoi 8848,86 m di altezza ha rappresentato e rappresenta ancora oggi una sfida per l’umanità. Dalla prima spedizione sulla vetta del 1921, migliaia di persone fino ad oggi hanno tentato la sua scalata e molti purtroppo sono morti. Perché nonostante la tecnologia e la conoscenza della montagna siano migliorate, i pericoli per gli scalatori sono rimasti, amplificati anche a causa del cambiamento climatico.

Oggi ricordiamo il trentesimo anniversario dalla prima scalata dell’Everest da parte del neozelandese Edmund Hillary e del nepalese Tenzing Norgay e di tutte le conseguenze che questo traguardo ha portato con sé, tenendo anche conto però di come il cambiamento climatico e l’impatto umano ha cambiato e continuerà a cambiare la vita e le vite di chi è connesso a questa montagna.

La prima scalata

Dopo la prima spedizione britannica del 1921, dovettero passare 32 anni prima che l’uomo riuscisse a raggiungere il “tetto del mondo”. La spedizione britannica del 1953 organizzata e finanziata dal Joint Himalayan Commitee, composta da 15 alpinisti, 20 sherpa e 350 portatori e guidata dal colonello John Hunt cominciò a febbraio e fu estrema. C’erano stati molti tentativi ma nessuno era mai riuscito a conquistare la vetta. A capo del gruppo degli sherpa c’era Tenzing Norgay che dal 1935 aveva già partecipato a sei scalate ed era considerato l’alpinista più esperto dell’Everest. Il piano era di fare due tentativi verso la cima compiuti da una coppia di alpinisti con un eventuale terzo tentativo, se necessario. In questo tipo di spedizione il leader sceglie le coppie che devono raggiungere la vetta in base al comportamento degli scalatori durante la missione e all’inizio vennero scelti gli scalatori Tom Bourdillon e Charles Evans, che riuscirono ad arrivare a soli 100 m dalla cima perché costretti a tornare indietro per mancanza di ossigeno. Tre giorni dopo il neozelandese Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay tentarono la scalata: era intenzione di Hunt includere uno Sherpa fra le squadre per raggiungere la cima, come riconoscimento del loro contributo inestimabile al successo di queste spedizioni. I due arrivarono in cima alle 11.30 del 29 maggio e lì, finalmente sul tetto del mondo, si abbracciarono.

L’impatto umano sulla montagna

La conquista dell’Everest è una delle tante conquiste da parte dell’uomo e da parte di un’umanità che vuole spingersi agli estremi del mondo, oltre i limiti e le sfide imposte dalla natura. Oggi ci sono agenzie specializzate e la scalata del monte non sembra più impossibile come un tempo. Gli alpinisti sono aumentati e la grande quantità di attrezzi di cui hanno bisogno finiscono spesso per essere abbandonati in vetta o sui percorsi che sono diventati sempre più sporchi e pieni di spazzatura. Il tetto del mondo è messo a dura prova dall’inquinamento da microplastiche che provengono prevalentemente dagli indumenti e dalle attrezzature degli scalatori. Inoltre un altro problema è quello dello scioglimento dei ghiacciai. Secondo gli esperti dell’università del Maine in 25 anni i ghiacciai della montagna più alta del mondo hanno perso ben 55 metri di spessore con un ritmo di scioglimento 80 volte più rapido rispetto a quello con cui lo stesso ghiaccio si era formato. Con la perdita del manto nevoso espone i ghiacciai direttamente ai raggi solari che accelerano di 20 volte il tasso di scioglimento. Questo problema non solo aumenta i rischi di crolli e frane, ma riduce le riserve di acqua potabile utilizzate da circa un miliardo di persone.

Nemmeno la montagna più alta del mondo è immune al cambiamento climatico.

Lorenza Re

Crediti immagine in evidenza: https://pin.it/777mri7

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