Etica della cura: vi sottopongo ad un test

L’etica è una sfera del discorso che ha a che fare col comportamento umano: giudichiamo giuste o sbagliate, buone o cattive le azioni nostre e altrui sulla base di principi etici. All’interno della filosofia morale sono tante le correnti di pensiero che si sono chieste quali di questi principi dovremmo seguire. Tra le posizioni, oggi, vorrei parlarvi dell’etica della cura. Si tratta di una filosofia definita “femminista”: le prime esponenti, a partire dagli anni Ottanta, sono state tutte donne che hanno cercato di sottolineare la differenza rispetto al pensiero dominante maschile (le filosofe fanno notare che ciò che leggiamo sui manuali di filosofia è un prodotto esclusivamente maschile, orientato verso una filosofia legata alla ragione). La secolare battaglia tra etica razionalista (la guida dell’etica è la ragione) e sentimentalista (a guidare l’etica sono i sentimenti) viene risolta da Carol Gilligan nel suo testo Con voce di donna (1982) e da Joan Tronto in Confini morali (1993) con un’affermazione: l’etica è prestare ascolto a partire dalla propria sensibilità, l’autosufficienza è una convinzione del tutto maschile.

Allieva dello psicologo Lawrence Kohlberg, Gilligan scrive un testo per mostrare che le donne si confrontano con i dilemmi morali in maniera diversa rispetto agli uomini:

  • i maschi si rifanno alla ragione, concependo se stessi come autosufficienti e, pertanto, quasi per paura della dipendenza interpersonale che non vogliono accettare, credono attraverso la ragione di avere un rapporto autonomo.
  • Le donne, al contrario, mettono in primo piano non i principi ma l’attenzione verso gli altri e il rispondere al bisogno di cura di chi hanno attorno. La relazione e la dipendenza non sono una minaccia.

Proprio perché le donne non sono guidate da principi generali, sono state considerate nella Storia individui incapaci di moralità. Kohlberg stesso, il suo maestro, nello studiare lo sviluppo morale dei bambini era arrivato alla conclusione che le bimbe avessero un deficit di moralità. Secondo lo psicologo bambini e bambine attraversano un iter predefinito: da una fase pre-convenzionale (nessuna interiorizzazione) a una convenzionale (aspettative interpersonali reciproche, comprensione dell’ordine sociale) a, infine, uno stadio post convenzionale (il riconoscimento e il rispetto di principi generali universali). Per lui le bimbe non raggiungerebbero l’ultimo stadio, quindi le donne avrebbero un deficit di moralità. Gilligan considera questa analisi superficiale; Kohlberg in parte ha ragione (le donne tendono a non raggiungere quello stadio di sviluppo), ma questo non è un difetto: la moralità delle donne non si basa su principi ma sul prestare attenzione a quello che accade alle altre persone. Il pensiero di Gilligan, tuttavia, non vuole essere essenzialistico: il modello di moralità che lei propone non è precluso agli uomini. Gli uomini fanno fatica a riconoscere le loro emozioni ed accettare di essere vulnerabili, essendo cresciuti condizionati da un modello culturale che fa loro pensare che la dipendenza e la relazione siano minacce.

Gilligan arriva a questa posizione osservando i bambini, in particolare sottoponendo ad un test due undicenni che non erano facilmente inseribili nelle più comuni categorie della stereotipizzazione: Jake preferiva la letteratura alla matematica, Amy voleva diventare una scienziata. Il quesito riguardava il caso di un uomo, Heinz, con una moglie molto malata. Per salvarla avrebbe dovuto comprare un farmaco che non poteva permettersi e che il farmacista non voleva cedere ad un prezzo inferiore. La domanda era la seguente: farebbe bene Heinz a rubare la medicina?

  • Jake è sicuro della risposta fin dall’inizio, interpretando la situazione come un’equazione di matematica da risolvere con la logica: comprende che si tratta di un conflitto tra i due valori della proprietà privata e della vita umana, molto più importante della prima. Anche se rubando, Heinz infrangesse la legge, il giudice si troverebbe d’accordo con lui, riconoscendo il fatto che il diritto non può prevedere tutti i casi immaginabili. L’importanza qui non ricade sulle persone concrete, che sono sostituite da numeri nel ragionamento, ma dallo scenario. La morale è il risultato di un accordo sotto forma di contratto che individui autonomi e razionali stipulano al fine di non danneggiarsi: le regole poiché limitano l’interferenza garantiscono l’autonomia. A lui spaventano i casi di affiliazione.
  • La risposta di Amy è più incerta: non dovrebbe rubare il farmaco, potrebbe trovare un altro sistema (ad esempio farsi fare un prestito) perché non è giusto che sua moglie muoia. La soluzione della bambina è rendere più chiara la drammaticità della circostanza al farmacista o, se ciò dovesse fallire, chiedere aiuto ad altre persone in grado di darlo. Amy parte dal presupposto che l’uomo non è indifferenze alle difficoltà di chi gli sta attorno. Per Amy la morale non è solo astenersi dall’infliggere del male, ma è anche impegnarsi a fare del bene per gli altri perché non siamo soggetti isolati ma relazionati. A lei spaventa l’impersonalità, l’isolamento.

La posizione di Gilligan ha ricevuto molte critiche, perché non segue protocolli standard di ricerca e perché la sensibilità non può dipendere dal genere (sebbene statisticamente le donne possano sviluppare tratti emotivamente più complessi). Per constatare la sua teoria, tu come avresti agito? Condividi le perplessità di Amy o le affermazioni di Jake?

Nicole Zunino

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