L’atmosfera riprodotta da Aki Kaurismäki è profondamente finlandese in tutto ciò che mette in scena. La musica, i dialoghi, l’umorismo tutto nordico, come le stesse situazioni che vengono ricreate durante tutto il film. Holappa e Ansa si incontrano per caso in un bar, un venerdì sera qualunque. Non si parlano; il loro primo contatto avviene solamente attraverso lo sguardo. Qualcosa sembra catturare la loro attenzione e si incontreranno nuovamente. O meglio, si cercheranno e si perderanno, e noi con loro speriamo fino alla fine che riescano ad aggirare gli imprevisti che complicano i loro appuntamenti.
Kaurismäki ricrea perfettamente il suo microcosmo, fatto da una storia piccola in un mondo troppo grande per le persone che ci abitano. Meglio spegnere il notiziario alla radio, tanto parla solo della “dannata guerra” (come esclama Ansa nervosamente), e ascoltare della musica rilassante. Lo stesso spazio del racconto viene rimpicciolito; ci si accorge di trovarsi in una città come Helsinky solamente nelle scene in cui Holappa va a lavorare come operaio in un cantiere edile. In questi rari momenti l’inquadratura si allarga e ci mostra i palazzi in costruzione, le strade, la vita dinamica di una capitale. Per il resto del film invece vediamo sempre i protagonisti incorniciati in un frame casalingo, o che occupa giusto l’ingresso di un piccolo cinema. Il loro rapporto è racchiuso in una serie di luoghi ben precisi, che diventano col tempo familiari sia a loro, che agli spettatori.

L’atmosfera sembra essere sospesa, le persone che popolano il bar sono immobili, non si parlano, al massimo sorseggiano l’ennesima birra della serata, contemplando le performance di chi prova a cantare al karaoke. Gli incontri tra i due protagonisti sono costituiti dalla distillazione estrema di quello che potrebbero essere delle conversazioni “normali”; ciò che rimane sono poche parole, semplici, ma che evidentemente bastano ai due per capirsi e piacersi.
Essenziale è anche lo stile di regia di Kaurismäki, fatto di inquadrature fisse e personaggi statici, appunto. I colori spesso sgargianti dei vestiti contrastano con l’ambiente spento che si trova intorno a loro, dal buio della notte alla neve finlandese. Il regista fa anche un omaggio al cinema, tappezzando di locandine gli sfondi del film, e soprattutto facendo vedere un pezzo di “I morti non muoiono” di Jim Jarmusch, da cui peraltro prende spunto.
La critica al mondo del lavoro è inoltre una parte fondamentale della pellicola. Entrambi i protagonisti, infatti, rimbalzano da un lavoro a un altro, Holappa per il suo alcolismo, Ansa per aver preso dal supermercato in cui lavorava un panino che doveva essere buttato perché scaduto, e quindi invendibile. Fanno parte di un sistema lavorativo in cui lo stipendio è a malapena sufficiente per arrivare a fine mese e i cui padroni sono insensibili verso i loro sottoposti. Ma Kaurismäki non abbandona la speranza. Nella sua visione del mondo la solidarietà tra le persone esiste ancora, mentre l’amicizia e l’amore possono aiutare a superare gli ostacoli della vita.
In fin dei conti Fallen Leaves è un film che parla di una speranza testarda, irremovibile nonostante gli imprevisti. I due protagonisti incontrano diversi ostacoli; ogni volta che la situazione sembra essersi stabilita ecco che succede qualcosa che blocca nuovamente lo stato delle cose, che fa inceppare il meccanismo che porta avanti la loro relazione. Ma uno non perde mai la fiducia nell’altro, perchè sa che comunque cercherà di risolvere ogni difficoltà per poter stare insieme. Senza bisogno di dirsi molto, solo quel che basta.
Fabrizio Mogni
