Ilaria Salis libera

Sono le 16.45 quando a Monza, il 25 gennaio del 1945, i partigiani Vittorio Michelini, Alfredo Ratti e Raffaele Criscitello — tutti classe 1923 — perdono la vita, fucilati dal plotone d’esecuzione repubblichino schierato lungo via Boccaccio. Benché per i tre giovani le lancette dell’orologio si siano fermate per sempre in quella fredda giornata d’inverno del ‘45, la memoria del loro sacrificio attraversa il tempo e scorre, ancora oggi, nelle vene di chi, come Ilaria Salis, ha scelto di vivere il presente secondo i principi che hanno ispirato le tanti voci che, al regime mussoliniano, hanno risposto con un grido, per alcuni fatale, di libertà.

Non fosse stato per Ilaria, spiega la zia della ragazza, probabilmente il centro Boccaccio, sorto nell’omonima via all’interno di una fabbrica abbandonata, non avrebbe mai visto la luce. Perché Ilaria, come testimoniano i suoi vecchi compagni del liceo Zucchi, “è una di quelle persone che quando le incontri non te le dimentichi più. Era la migliore della classe, sensibile alle ingiustizie e paladina dei più fragili.” E proprio perché Ilaria Salis, storica per formazione e maestra delle elementari di professione, non accetta che si profani il passato resistenziale europeo, l’11 febbraio del 2023 prende parte alla contromanifestazione indetta dai comitati Antifa presenti a Budapest, in risposta ai raduni nazifascisti organizzati il 9 febbraio in occasione della Giornata dell’Onore (Tar der Ehre), dedicata alla celebrazione della morte di un gruppo di soldati nazisti. Nel pomeriggio dell’11 febbraio, Salis viene fermata su un taxi insieme a due militanti antifascisti tedeschi, uno dei quali in possesso di un manganello retrattile, e condotta in stato di arresto nel carcere di massima sicurezza della capitale.  Secondo l’accusa, l’imputata avrebbe partecipato a quattro aggressioni ai danni di alcuni militanti pro Taf der Ehre (in due casi, tuttavia, la maestra monzese ha fornito sufficienti prove alla magistratura per dimostrare che, al momento del fatto, non si trovava ancora in territorio ungherese). Peraltro, i due militanti nazifascisti ricoverati in ospedale (con una progrosi da una settimana) per le ferite riportate durante gli scontri — ferite, per l’accusa, inferte dalla maestra e reputate come “potenzialmente mortali” — non hanno sporto denuncia per i danni subiti.

Tra l’11 febbraio e il 2 ottobre — data in cui Ilaria invia una lettera ai propri avvocati in cui denuncia apertamente le condizioni disumane di detenzione nel carcere di Budapest — le informazioni fornite ai genitori sullo stato di salute della figlia e sull’iter del processo restano frammentarie. La difesa dell’imputata, intanto, è affidata a un gruppo di avvocati ungheresi, che la aiutano a decifrare e a firmare i documenti ufficiali, consultabili esclusivamente in ungherese.

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“Mi raccomando, quando torni in Italia, racconta cosa succede qui dentro”, chiede Ilaria Salis a Carmen Giorgio, sua compagna di cella per qualche mese e liberata recentemente dalle autorità ungheresi. “Nella cella mancano gli assorbenti, ci sono cimici che di notte pungono la pelle, i vestiti sono sporchi e il cibo non è adeguato”. “Spesso, se vuoi farti la doccia”, racconta ai media Carmen Giorgio mostrando alcuni disegni realizzati in cella, “devi rinunciare alla tua unica ora d’aria”. Non offriamo servizi da hotel a cinque stelle né pasti da ristoranti Michelin, rispondono le autorità giudiziarie ungheresi, con quella spiccata simpatia e quell’innato senso dell’umorismo che tanto le contraddistinguono.

L’immagine di Ilaria Salis condotta in tribunale al guinzaglio, incatenata mani e piedi, ha sconvolto l’opinione pubblica italiana ed europea. Il governo dello Stivale, che ha ottimi rapporti con il primo ministro ungherese Orban, capo del partito conservatore Fidesz (vicino, ideologicamente, a FdI), ha cercato di tenere un profilo basso, limitandosi, di fatto, a inviare l’ambasciatore italiano a Budapest per seguire da vicino la vicenda. Tajani, attuale ministro degli Esteri, condanna la “violazione delle norme comunitarie” e sottolinea che “condurre in quella maniera un detenuto è fuori luogo e non in sintonia con la nostra civiltà giuridica”. L’estradizione in Italia, continua Tajani, sarà possibile solo se l’imputata otterrà gli arresti domiciliari.

Crediti immagine: https://www.ilgiorno.it/monza-brianza/cronaca/ilarisa-salis-petizione-online-xkpkde60

C’è chi, come il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, ha bisogno di cambiare urgentemente oculista: “Non le ho viste, vado a vederle”, afferma riferendosi alle immagini di Ilaria Salis incatenata, “non commento cose che non ho visto…”. C’è chi, invece, come il Vicepresidente del Consiglio dei ministri Salvini, di fronte a questa tragedia dà un contributo prima di tutto “paterno”, affermando che se Ilaria fosse stata sua figlia, lui non sarebbe stato contento. Per inciso, Ilaria Salis, come afferma la sentenza della magistratura, non ha mai preso parte all’assalto del gazebo della Lega nel 2017. Così come non è vero, come invece ha dichiarato in un primo momento il Presidente del Senato La Russa, che la pratica del “detenuto al guinzaglio” è presente anche in Italia: il garante dei detenuti del Comune di Milano, Francesco Maista, ha spiegato chiaramente che dal 1992 nessun detenuto può essere portato in aula in catene.

Durante i primi mesi di prigionia, ricorda Carmen Giorgio, Ilaria studiava per passare il concorso per entrare di ruolo. Oggi rischia di scontare fino a 24 anni di carcere in Ungheria.

Micol Cottino

Crediti immagini di copertina: https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lazio/foto/ilaria-salis-spezza-le-catene-e-torna-libera-il-murale-dedicato-alle-39enne-italiana_76775242-202402k.shtml

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