Caso Sanremo: fra servizio pubblico e interessi privati

È passata poco più di una settimana dalla fine di Sanremo, ma le polemiche relative al festival e agli eventi attorno ad esso sembrano non avere fine. Di seguito abbiamo cercato di riassumere che cosa è successo durante la gara più importante d’Italia e di dare un contesto alle polemiche nate in merito.

Contesto

Tutto è cominciato durante la prima serata della kermesse musicale, quando alcuni artisti in gara, tra cui Dargen D’Amico e Ghali, hanno deciso di portare dei messaggi politici sul palco.

Il problema in sé non sembra essere tanto il testo delle loro canzoni – uno parla del dramma dei migranti e dei bambini innocenti coinvolti nei conflitti di guerra, l’altro di casa, di cittadinanza, di confini1 –  ma i messaggi che hanno lanciato alla fine delle loro esibizioni. 
Entrambi si sono espressi a favore della pace, sebbene usando termini diversi. Le parole come “cessate il fuoco” del cantautore milanese e “stop al genocidio” del rapper italo-tunisino non sono passate inascoltate, generando non poche polemiche. Le dichiarazioni del secondo, in particolare, hanno provocato un acceso dibattito. Inizialmente, su Rai Play (piattaforma di streaming della Rai), il suo appello è stato rimosso, per essere poi ripristinato a seguito delle controversie suscitate. A questo si aggiunge la risposta con un tweet dell’ambasciatore di Israele a Roma, Alon Bar:

Fonte: Twitter (X)

Finito il festival, la scia di polemiche ha raggiunto Domenica In, talk show condotto da Mara Venier.

La puntata speciale, all’indomani della finale sanremese, prevedeva che ogni cantante tornasse sul palco dell’Ariston per eseguire nuovamente il proprio pezzo e si confrontasse con le domande poste dai giornalisti presenti.
È in questo contesto che la tensione è aumentata a causa di alcuni comportamenti di Venier, che sono stati tacciati come tentativi di censura. Durante l’intervento di Dargen D’Amico sul tema dell’immigrazione, la conduttrice lo ha interrotto dicendo: “Qui è una festa. Parliamo di musica!“. E poi: “Sono domande importanti a cui bisogna rispondere in maniera dettagliata, ma oggi il tempo non ce lo abbiamo“. Prima di mandare la pubblicità, Venier ha criticato i giornalisti per aver sollevato un argomento scomodo, ammonendoli: “Mi mettete in imbarazzo, non vi faccio parlare più, perché non è questo il momento”.
È andata invece diversamente quando è toccato a Ghali. Un giornalista in particolare ha chiesto al cantante di esprimersi in merito al tweet dell’ambasciatore israeliano, che riteneva sbagliato utilizzare il palco di Sanremo per diffondere odio. “Io sono un musicista: prima di salire su questo palco ho sempre parlato di questo fin da quando sono bambino” ha detto il cantante. “È da quando ho 13-14 anni che parlo di quello che sta succedendo nelle mie canzoni […] Non è dal 7 ottobre che ne parlo, questa cosa va avanti già da un po’. Il fatto che l’ambasciatore parli così non va bene, continua la politica del terrore, la gente ha paura di dire stop alla guerra, stop al genocidio. Stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono viva la pace”, ha concluso. Mara Venier, trovandosi in una situazione complicata, ha brevemente commentato di essere a favore della pace, evitando però di addentrarsi ulteriormente in una discussione che appariva troppo delicata da affrontare in quel contesto. 

Dopo le reazioni suscitate dal tweet dell’ambasciatore e le dichiarazioni dei cantanti, Roberto Sergio, amministratore delegato Rai, ha rilasciato una dichiarazione ufficiale. Nel comunicato ha affermato: “I nostri telegiornali e programmi quotidianamente danno spazio e continueranno a farlo, alla tragedia degli ostaggi in mano a Hamas, senza dimenticare il massacro di bambini, donne e uomini avvenuto il 7 ottobre. Esprimo la mia piena solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica“. Venier ha aggiunto: “Queste sono parole che, naturalmente, tutti noi condividiamo“, un parere che ha scatenato numerose polemiche, portando la presentatrice a disabilitare i commenti sul suo profilo Instagram a causa delle critiche ricevute. Sergio, invece, a seguito delle minacce rivoltegli come conseguenza della sua esplicita posizione in favore di Israele, ha indotto il ministero degli Interni ad assegnargli una scorta per garantire la sua sicurezza e quella della sua famiglia. 

La situazione, ovviamente, ha spinto esponenti politici di vari partiti a prendere posizione su un fronte o sull’altro, evidenziando una netta divisione di opinioni riguardo al conflitto e al ruolo dei media nella sua rappresentazione. Tra le molteplici reazioni, quelle che hanno particolarmente colpito l’opinione pubblica sono state le dichiarazioni di Alessandro Morelli, senatore della Lega. Le sue parole hanno infatti accentuato il dibattito sulla libertà di espressione e sull’opportunità di imporre restrizioni agli artisti basate sul loro impegno politico, catalizzando ulteriori discussioni sull’argomento. Morelli, in un’intervista al Time, ha suggerito l’introduzione di un DASPO specifico per gli artisti che usano il palco di Sanremo per esprimere opinioni politiche, anziché limitarsi esclusivamente alla musica. 

Cos’è il DASPO?

Il DASPO, che sta per ‘divieto di accedere alle manifestazioni sportive‘, è una misura di prevenzione atipica, prevista dalla legge italiana, volta a prevenire la violenza negli stadi. Impedisce a chi è stato coinvolto in atti di violenza o intimidazione di partecipare agli eventi sportivi.

Adattare questo concetto al Festival di Sanremo, secondo Morelli, servirebbe a mantenere il festival focalizzato sulla musica piuttosto che sulla politica. La proposta ha quindi sollecitato un vivace dibattito sulla possibilità di restringere la partecipazione degli artisti in base alle loro espressioni politiche, mettendo in discussione il bilanciamento tra il diritto alla libertà di espressione e il desiderio di preservare determinati spazi da influenze politiche (se mai questo fosse possibile, dato che storicamente la Rai “appartiene” alla maggioranza al potere2). In questo contesto, le dichiarazioni di Morelli hanno attirato l’attenzione su un punto cruciale del dibattito sulla libertà d’espressione in Italia, mostrando come le questioni culturali si intreccino profondamente con la politica e come decisioni in apparenza legate solo all’ambito dell’intrattenimento possano avere implicazioni ben più ampie.

Contestazioni

La contestazione, oltre a essersi sviluppata sui social e sui media tradizionali, si è manifestata attivamente nelle strade: numerose persone hanno scelto di esprimere il loro dissenso non solo online, ma anche con azioni concrete, scendendo a manifestare in piazza e davanti alle principali sedi Rai italiane. Infatti, nella settimana successiva al Festival di Sanremo, sono stati organizzati numerosi presidi pro Palestina. La prima manifestazione si è svolta a Napoli, nella mattinata del 13 febbraio, esattamente due giorni dopo la puntata di “Domenica In” in cui Mara Venier ha letto il comunicato. Il sit-in è stato coordinato dalla “Rete sociale per la Palestina di Napoli” (ANSA), l’incontro è culminato in scontri tra i manifestanti e gli agenti di polizia posti davanti ai cancelli della Rai. Diversi giornali hanno evidenziato un bilancio di “dieci feriti lievi”. Questi eventi sono stati denunciati da vari influencer, tra cui Flavia Carlini, che ha pubblicato un video subito dopo le proteste.

Nel pomeriggio dello stesso giorno a Torino, si sono verificati ulteriori scontri con la polizia.

L’incontro, promosso dal collettivo “Progetto Palestina libera” e tenutosi di fronte alla sede Rai in via Verdi, ha raccolto l’adesione di gruppi studenteschi, del centro sociale Askatasuna e del Fronte della Gioventù Comunista. Originariamente concentrato davanti alla Rai, si è temporaneamente spostato in un corteo lungo via Po, per poi fare ritorno in via Verdi, dove sono scoppiati gli scontri. Nel corso della tensione, sono stati lanciati oggetti come uova, bottiglie e fumogeni, a cui le forze dell’ordine hanno reagito con cariche. Il resoconto degli eventi parla di diversi feriti e di scritte comparse sulle camionette della polizia durante gli scontri. La giornata di protesta si è conclusa con un nuovo corteo che, partendo dal McDonald’s, è terminato in piazza Castello.

Fonte: Instagram

Nel corso della settimana, i cortei sono continuati in altre città italiane, tra cui Bologna (Rai News), Milano (ANSA) e Firenze (La Nazione).

Il dissenso nei confronti del comunicato del direttore generale della Rai, Roberto Sergio, sembra non provenire solamente dall’esterno dell’azienda, ma anche da alcuni dipendenti interni. Nei giorni scorsi, sui vari canali social, è circolato un comunicato anonimo, presumibilmente attribuito a diversi dipendenti Rai, che recita:

Fonte: Instagram

Se fosse confermata l’autenticità di questo comunicato, ciò dimostrerebbe una netta presa di posizione di alcuni dipendenti che condannano le parole lette da Mara Venier durante la sua trasmissione.

In questo clima, il dibattito pubblico sembrerebbe essersi spostato verso la superficialità. Il discorso si è trasformato in una competizione per la solidarietà più visibile, in un gioco a squadre dove il focus centrale – quello delle tragedie umanitarie come quella che ha luogo a Gaza – sembra essersi perso. Interessante notare come, nonostante le molteplici voci e le appassionate espressioni di posizione, il timore di una “censura” non sembra fortunatamente trovare fondamento, visto l’ampio spettro di opinioni liberamente espresse nel dibattito attuale. Ci auguriamo che il dibattito ritrovi il suo perno centrale, cioè sulle vittime civili.

Alexandra Onofreiasa e Alessandro Santoni

  1. Questa è un’interpretazione parziale dei redattori di questo articolo, per altre chiavi di lettura invitiamo a leggere i testi originali: Onda alta (Dargen D’Amico), Casa mia (Ghali). ↩︎
  2. Per maggiori informazioni, Il Post ha parlato di ‘lottizzazione↩︎

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