Il caso Boeing: le sfide della sicurezza aerea

Chi non si è mai trovato a chiedersi se l’aereo su cui stava viaggiando fosse veramente sicuro? Probabilmente nessuno. Da sempre l’aereo (e la paura di volare) assillano molte più persone di quelle che si preoccupano per un viaggio in auto, in treno o in nave. In questi altri casi è molto più frequente che le persone siano infastidite perché soffrono il mal d’auto o il mal di mare, quando le acque diventano un po’ troppo agitate. La sicurezza dei mezzi però non viene quasi mai messa in dubbio; l’esatto opposto di quello che avviene con gli aerei.  

Un controsenso, se si guardano i dati. La Iata (International Air Transport Association) ha pubblicato un report sul 2023, decretandolo l’anno più sicuro di sempre per i viaggi aerei. Su 37 milioni di voli si sono verificati in totale 30 incidenti (mortali e non), dunque una media di 0,80 ogni milione di decolli. A questo livello di sicurezza una persona dovrebbe prendere un aereo tutti i giorni per 103,239 anni prima di morire in un incidente.  

Fatte queste dovute premesse, dobbiamo parlare di un problema reale che ultimamente ha fatto vacillare la credibilità di una delle aziende aerospaziali più grandi del mondo: il caso Boeing

A gennaio un 737 Max 9 dell’Alaska Airlines ha perso un portellone in volo; la causa, appurata in seguito a controlli successivi, è stata l’allentamento di alcuni bulloni. 171 dei 218 737 Max 9 in servizio negli Stati Uniti sono stati obbligati a rimanere a terra per ulteriori ispezioni e sia l’Alaska Airlines che la United Airlines hanno dovuto cancellare quasi 1.500 voli, causando grossi disagi come facilmente immaginabile.

L’interno del Boeing 727 Max

Tra il 2018 e il 2019 sempre due 737 Max della compagnia aerea indonesiana Lion Air e di quella etiope Ethiopian Airlines precipitarono a causa dei difetti a un software anti-stallo, causando la morte delle 346 persone a bordo. La Boeing, in seguito, ha dovuto pagare 200 milioni di dollari per risolvere una causa civile in cui era accusata di aver mentito sulla sicurezza del modello 737 MAX, fuorviando gli investitori. Il patteggiamento e il pagamento ci sono stati, ma Boeing non ha né ammesso né negato le accuse.  

Oltre agli incidenti aerei è accaduto un altro fatto grave, questa volta riguardante un ex dipendente della Boeing. John Barnett, 62 anni, era un noto whistleblower che aveva denunciato problemi di sicurezza sul modello 787 Dreamliner. A inizio marzo 2024 è stato trovato morto (con una ferita autoinflitta) nel suo furgone parcheggiato vicino al suo albergo. Solo pochi giorni prima aveva testimoniato in un’azione legale contro la Boeing e il 10 marzo si sarebbe dovuto sottoporre a un nuovo interrogatorio. Nel 2019 Barnett aveva dichiarato alla BBC che dei lavoratori, sotto pressione, avevano montato dei pezzi inferiori agli standard sugli aerei. In più aveva avvertito i dirigenti della Boeing che aveva scoperto dei seri problemi con i sistemi di ossigeno, per cui un quarto delle maschere non avrebbero funzionato in caso di emergenza, ma la società non ha agito in nessun modo per risolvere la questione. 

John Barnett, intervistato dalla BBC

I problemi del secondo maggior produttore di aeromobili al mondo arrivano da lontano, secondo il giornalista Peter Robison. Nel suo libro “Flying Blind: The 737 MAX Tragedy and the Fall of Boeing” spiega che i leader dell’azienda, dopo l’acquisizione nel 1997 della rivale McDonnell Douglas, iniziarono a nascondere o comunque a sottostimare i rischi legati alla sicurezza per mantenere dei costi più bassi e avere una produzione più veloce del loro principale concorrente, Airbus. Nonostante ciò, Airbus è comunque riuscita a superare il colosso americano nel 2019, riuscendo a vendere oltre 12.000 aerei in giro per il mondo.  

La lotta serrata per il primato aereo ha premiato l’europea Airbus

Un altro problema su cui gli esperti di aviazione puntano il dito è l’esternalizzazione della costruzione dei velivoli. Sempre di più la società si è affidata a contratti di subfornitura con altre società a partire dal 2005, anno in cui ha venduto alla Spirit AeroSystems il progetto della sua fusoliera (in queste settimane sembra che voglia riacquistarla). Oggi infatti Boeing completa solamente l’assemblaggio finale dell’aereo, dopo che migliaia di ditte le hanno già fornito i vari componenti: in questo modo la produzione è più economica, ma l’azienda perde la capacità di controllo capillare che dovrebbe mantenere e di supervisione del processo produttivo.  

In queste settimane si possono notare dei grossi cambiamenti all’interno della Boeing, alla ricerca disperata di stabilità e credibilità agli occhi degli investitori. Dave Calhoun, l’attuale amministratore delegato, ha deciso di dimettersi alla fine del 2024, chiudendo il suo percorso iniziato nel 2020. Oltre a lui si dimettono Stan Deal, capo della divisione Commercial Airplanes (quella che ha realizzato gli aerei finiti sotto indagine) e Larry Kellner, presidente del board indipendente dell’azienda. Si chiude di fatto un’era, perché escono dall’azienda tutti coloro che avevano approvato il progetto del 737 Max. I prossimi mesi ci diranno se la Boeing avrà preso le decisioni giuste per smettere di ignorare i problemi della sicurezza e iniziare ad aumentare la qualità dei controlli.  

Fabrizio Mogni

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