L’alleanza Europa Verde propone una legge volta a tutelare il diritto all’immagine dei minori e combattere il fenomeno dello sharenting, cioè la condivisione di foto e video di bambini e bambine da parte dei propri genitori. Questa pratica riceve un’eco tale da far innalzare le visualizzazioni dei contenuti per il semplice fatto che questi hanno come soggetto bambini e ragazzi. Per questo motivo, gli onorevoli Bonelli, Zanella Piccolotti e Fratoianni hanno firmato la proposta di legge, data la necessità di tutelare il prima possibile le vittime di questo gioco.
Alla conferenza stampa per la presentazione della proposta di legge, della quale è coautrice, è intervenuta la social media strategist Serena Mazzini. Per lei, il momento di svolta è stato il periodo di lockdown dovuto all’epidemia di COVID. In quel periodo si è trovata ad analizzare le tendenze social per permettere alle aziende sue clienti di inserirsi all’interno di quei trend. Così facendo, si è accorta di come i contenuti incentrati sui bambini generassero interazioni tre volte maggiori rispetto agli altri.
La pubblicità si è spesso servita di bambini per generare una reazione emotiva nel potenziale consumatore. Oggi la società è più sensibile verso questo tema: recentemente H&M è stata portata a ritirare una campagna che ritraeva due bambine, a causa dei commenti negativi ricevuti. Questa sensibilità, tuttavia, sembra venir meno quando i bambini sono esposti sui social, dove i contenuti sono avvolti da una patina di apparente autenticità, che ne maschera il lato oscuro. Gli attori bambini del passato erano ripresi soltanto per alcune specifiche scene, e anche così non sono pochi i casi in cui questi sono andati incontro a serie difficoltà una volta adulti. Sui social, invece, è l’intera vita del bambino a diventare una campagna pubblicitaria.
Mazzini propone un’utile tassonomia dello sharenting. Ci sono i profili in cui i bambini giocano un ruolo nel “romanzo di formazione” dei genitori: convivenza – matrimonio – gravidanza. Ci sono poi i profili palcoscenico dedicati interamente all’esibizione dei bambini, ripresi mentre ballano, cantano, mangiano o fanno i capricci. La terza categoria comprende profili strutturati come mini serie TV, dove genitori e figli “collaborano” alla produzione di contenuti in base a una sceneggiatura consolidata, come la prima spesa insieme o la prima volta al cinema, togliendo così spontaneità e intimità a queste tappe della loro crescita.
Le conseguenze di tutta questa esposizione possono essere molto pericolose: dalla realizzazione di contenuti pedopornografici tramite intelligenza artificiale, caricati su gruppi a tema o usati per ricattare i genitori, al pericolo di adescamento dei bambini nella vita reale, dovuto alla condivisione di informazioni sensibili come la scuola frequentata. Alcuni recenti studi hanno dimostrato come gli adolescenti provino imbarazzo quando i genitori condividono loro foto buffe. Molti soffrono per il conflitto tra l’immagine che di loro stessi cercano di costruire, e quella invece costruita dai genitori. Quindi, l’invito è a non aspettare di vedere acuirsi i disagi mentali nei giovani per preoccuparci e scandalizzarci a posteriori.
E gli animali?
L’esposizione sulla piazza “sociale” non avviene solo per i minori. A finire sotto la luce mediatica ci sono anche gli animali, che, però, non possono chiedere il diritto di oblio e di certo non possono dire la loro. Durante la conferenza stampa è intervenuta l’etologa Chiara Grasso. Il suo intervento ha posto l’accento sull’importanza di essere consapevoli dei contenuti che postiamo, visioniamo e condividiamo in materia di salvaguardia degli animali selvatici. Da un po’ di tempo è in voga un fenomeno alquanto preoccupante: sui social ci si imbatte in contenuti in cui gli animali selvatici vengono avvicinati e sfamati. Anziché ricevere perplessità, il gesto porta il numero di condivisioni ad aumentare esponenzialmente. Mostrare immagini di animali selvatici in questo modo è pericoloso: si va a sottovalutare la percezione del pericolo che rappresenta, e che corre, l’animale stesso. Consumare un contenuto in cui, ad esempio, un orso bruno viene sfamato da una persona qualsiasi, per poi condividerlo senza mettere l’atto in dubbio, porta ad aumentarne la desiderabilità.
Con l’avvento dei social il fenomeno è più visibile e, per certi aspetti, fuori controllo. Tuttavia, non è nuovo: l’industria del cinema ha alimentato lo stesso desiderio. Dopo l’uscita di Jurassic Park sono aumentate le vendite di rettili, dopo Alla Ricerca di Nemo è aumentato l’acquisto di pesci pagliaccio e dopo La Carica dei 101 quello dei Dalmata. Di conseguenza, la colpa dei social è quella di aver reso più facile non solo la fruizione, ma anche e soprattutto la condivisione senza pensiero critico di questi contenuti.
L’unico modo per evitare che ciò accada è essere consapevoli che un animale selvatico deve rimanere tale e non può essere addomesticato, se non in casi particolari. Dato che i social sono difficili da perlustrare e controllare, per combattere il fenomeno si possono attuare dei comportamenti positivi volti a salvaguardare la fauna: mostrare un selfie con l’animale nel suo habitat naturale, ad esempio, manda un messaggio positivo perché crea una discrepanza tra i due mondi, che rimangono separati e così salvaguardati.
Ci sono pagine Instagram, come @biologicamente_91, che con la divulgazione cercano di porre freno a questi trend, ma prima bisogna partire dalla consapevolezza. Come suggerisce Grasso nella conferenza, siamo noi che decidiamo quali pagine seguire, a quale post mettere il like e quale condividere. A differenza degli animali selvatici, addomesticare l’algoritmo è auspicabile e, anche se è un’impresa difficile, non è certamente impossibile.
Alessandra Tiesi e Giulia Menzio
Fonti
https://www.open.online/2024/03/21/sharenting-proposta-legge-foto-minori-social-cosa-prevede
https://www.ilpost.it/2024/03/21/social-network-foto-bambini
https://valori.it/hm-sessualizzazione-bambini-pubblicita
Conferenza stampa Europa Verde:
