La “fuga di cervelli” dal Sud al Nord Italia

Domenica 22 settembre il programma Rai Presadiretta ha mandato in onda un servizio, “Via dal Sud”, in cui ha parlato di un fenomeno che, pur passando a volte inosservato in quanto lento, appare inesorabile: la fuga di cervelli non verso l’estero, ma dal Sud al Nord Italia. In un form circolato per la stesura di questo articolo, uno studente l’ha definita efficacemente come “la peggiore piaga del Sud dopo la mafia e il cambiamento climatico”.

Nella puntata Rai si è parlato di una vera e propria “emergenza giovanile”, indicando la mancanza di giovani tra i 25 e i 36 anni in alcune province del Sud, giovani che sarebbero preziosi nelle città di origine ma che, per mancanza di prospettive, di offerte di lavoro e di salari adeguati e tante altre ragioni, come la voglia di cambiare vita lontano da casa, decidono di emigrare al Nord per studiare, lavorare e poi vivere – perché dopo la laurea difficilmente tornano nei paesi di origine. Una decisione che spesso è una dura necessità. Molti, ad esempio, hanno dichiarato di aver scelto Torino per l’offerta formativa più attraente, una migliore qualità della vita e opportunità lavorative più in linea con le loro ambizioni.

In un editoriale pubblicato a febbraio su Avvenire, intitolato “Mezzogiorno di vuoto“, Stefano Consiglio ha osservato cinicamente che “tra qualche anno tanti problemi del Mezzogiorno si risolveranno da soli“, come la carenza di asili nido, di posti di lavoro, perché la natalità diminuirà sempre di più: “sempre meno studenti, sempre meno persone in cerca di occupazione[…]“, e quindi “I problemi del Mezzogiorno si risolveranno perché non ci saranno più le persone.”

Un problema di scala nazionale

La puntata si è concentrata sulla Basilicata, che secondo le proiezioni Istat menzionate perderà entro il 2050 un quinto della popolazione, uno scenario sconfortante: scuole e negozi chiusi, crollo del valore delle case e delle città, un sistema pensionistico in crisi. Tanto più perché il dramma dello spopolamento non riguarda solo il Sud, ma l’Italia in generale: a giugno la testata online Targatocn aveva infatti pubblicato un articolo intitolato “Se non è Pie-morte, poco ci manca”, nel quale si legge che da qui al 2042 è prevista la perdita del 5,5% dei residenti della regione, non solo perchè si fanno sempre meno figli, ma anche qui perchè molti laureati cercano migliori opportunità all’estero, soprattutto in Francia, Svizzera e Regno Unito.

Si tratta quindi di un problema nazionale, ma non va dimenticato il divario esistente tra università del Nord e del Sud Italia: in queste ultime le immatricolazioni calano costantemente, e secondo il rapporto Almalaurea 2023 il 28% dei giovani del Sud decide di studiare in università del Centro e del Nord. Come scriveva l’anno scorso L’Espresso, “serve una gestione centralizzata […] per impedire tra le altre cose che aumenti la sperequazione territoriale e la conseguente concentrazione degli studenti in sole cinque grandi città“, ovvero Roma, Milano, Bologna, Napoli e Torino.

Lo spettro dell’Autonomia differenziata

Il progetto dell’Autonomia differenziata (qui un nostro articolo a riguardo) sembra invece mirare ad aumentare il divario Nord-Sud, permettendo alle regioni di gestire in proprio alcune delle materie che al momento sono di competenza statale. Il 26 settembre sono state presentate in Cassazione 1,3 milioni di firme per chiedere un referendum abrogativo della legge dell’Autonomia differenziata: la Corte Costituzionale ha trenta giorni per dichiarare legittimo il quesito. Lo scenario resta comunque quello di una politica disinteressata ai giovani, che non sono visti come una priorità: basti pensare che l’Italia spende il 4,2% del PIL in istruzione, contro una media OCSE del 5,1%.

L’Erasmus italiano: un’opportunità?

Quest’anno Anna Maria Bernini, la ministra dell’Università e della Ricerca, ha firmato un decreto per stanziare 10 milioni di euro per l’Erasmus italiano, un progetto che ricalca l’omonimo europeo per promuovere la mobilità studentesca in Italia. Infatti, solo circa il 2% degli studenti del Nord si sposta verso il Sud, mentre quasi il 30% degli studenti meridionali si immatricola in atenei del Centro-Nord. Questo programma potrebbe essere una buona occasione di scambio, di incontro e di conoscenza, ma per funzionare, come scrive la rivista Il Mulino, “le università del Sud devono sforzarsi di diventare più attrattive, di migliorare la qualità dei servizi offerti e di fare reclutamento di qualità.”

Per concludere con le parole di Stefano Consiglio, “È una sfida difficile ma necessaria, che richiede una forte propensione al cambiamento ed una grande responsabilità di tutti[…]“, soprattutto della classe politica.

Anna Gribaudo

Fonte immagine in evidenza: https://pixabay.com/it/photos/viaggio-aeroporto-la-carta-dimbarco-5219496/

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