C’è una poesia di Umberto Saba in cui l’autore dialoga con una capra definendo il suo belato “fraterno al proprio dolore”. Tratta dalla sezione Casa e campagna de Il Canzoniere, La capra (1912) racconta la condivisione del poeta con l’animale di un aspetto distintivo di ogni essere umano: il dolore. Esso si esprime in ogni volto in cui si riflette, diventa eterno, perché il male –insegna Saba- ha sempre la stessa voce e non cambia nel tempo. Quante volte ci troviamo a sottovalutare il dolore degli altri? Quante volte diamo per scontato che i nostri problemi sono più importanti? «No» dice Saba: non commettiamo questo errore. Ogni sofferenza è diversa, ma provoca lo stesso dolore, un dolore che ha la stessa voce. Essere umani e fratelli significa riconoscere anche questo.
Nella definizione di dolore universale sembra riecheggiare il verso di Leopardi de La ginestra (1845) “contro l’empia natura / strinse i mortali in social catena”: la paura per la natura dovrebbe spingere gli uomini a costruire un fronte comune contro essa, deponendo qualunque altra ragione di ostilità.
Ernest Hemingway riprende nel suo romanzo Per chi suona la campana (1940) una delle più note citazioni del poeta e saggista inglese John Donne, vissuto nel 1500: «Nessun uomo è un’isola completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una nuvola venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te».
Quante volte è successo di sentirci completamente soli, abbandonati nel mare della vita, staccati dalle persone che ci circondano, incapaci di cogliere il senso della nostra esistenza! John Donne -e più tardi Hemingway- per descrivere questa sensazione, si avvalgono di un’immagine molto efficace: la visione di un’isola in mezzo al mare, la quale per sua stessa natura è destinata a rimanere scollegata dal resto del mondo.
È qui che l’autore spalanca un’altra visione, altrettanto suggestiva: “Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”. Questi versi ci invitano a cogliere la nostra vita come parte di una dimensione più grande, a cui apparteniamo e di cui possiamo percepire le connessioni vibranti. È un invito a sentirci parte del tutto, ma anche a essere empatici, a sentire il dolore dei nostri “fratelli” come parte della nostra stessa sofferenza.
L’urlo di Edvard Munch (1893-1910) è corredato da una postilla dell’artista: «Camminavo per strada con due amici. Il sole era al tramonto e cominciavo a sentirmi avvolto da un senso di malinconia. A un tratto il cielo si fece rosso sangue. Mi fermai, appoggiandomi ad una staccionata, stanco morto, e fissai le nubi infiammate che gravavano, come sangue e spada, sul fiordo nero-bluastro e sulla città. I miei amici continuarono a camminare. Io rimasi inchiodato in piedi, tremante di paura, e udii un grido forte e infinito trafiggere la natura». L’urlo pervade tutto ciò che circonda l’uomo: l’acqua, il cielo, la natura. L’oppressione che l’artista prova dentro il suo animo si riverbera su ciò che lo circonda. Munch si esprime attraverso colori e linee. La descrizione non è dettagliata ma noi riconosciamo i particolari: la staccionata che corre rapida sulla destra, il viale, due figure nere di spalle (gli amici che annota nel diario riportato a lato), sulla destra il paesaggio, un cielo rosso fuoco. La linea mossa infonde una sensazione di angoscia e tormento. Il rosso del cielo, in quanto colore caldo, è come se schiacciasse e opprimesse il soggetto dell’opera, mentre le tinte fredde (verde e blu) enfatizzano questo senso di oppressione. La stesura del colore è densa, corposa: genera angoscia e appesantisce. Immerso in questo paesaggio Munch urla, attraversato da un dolore lancinante che gli percuote l’animo, si tappa le orecchie, stringe così forte le mani da schiacciarsi il volto, quasi a divenire uno scheletro, mentre ciò che lo circonda si trasforma. Nonostante ciò gli amici sullo sfondo non odono il suo grido, non comprendono il suo dolore, indifferenti continuano la passeggiata e la conversazione. Viene qui proposto il tema dell’incomunicabilità e, speculare, l’importanza della solidarietà. Munch a causa di una serie di lutti e circostanze che hanno segnato la sua infanzia (la morte della madre, della sorella maggiore, il padre affetto da depressione, la povertà, la morte prematura del fratello, i problemi psichici della sorella) ha una visione macabra del mondo: pessimismo, morte, follia, incapacità di relazionarsi, assenza di fiducia nella società sono tutti tratti dominanti della sua arte. Egli vorrebbe credere nella solidarietà, ma non riesce perché non ne è mai stato testimone.
Nicole Zunino
Fonti
C. Bologna, P. Rocchi, Fresca rosa novella. Dal naturalismo al primo Novecento, Loescher, Torino, 2022
C. Bologna, P. Rocchi, Fresca rosa novella. Neoclassicismo e Romanticismo, Loescher, Torino, 2020
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