Torino e la mobilità: un rapporto disfunzionale

Quasi 850’00 abitanti, 2’200’000 con la città metropolitana, ossia la quarta città più popolosa d’Italia. Sede del museo egizio più importante del mondo dopo quello del Cairo, nonché terzo comune del Paese per numero di musei (ben 49). Oltre alla sua centralità storica, dovuta all’esser stata la prima capitale dell’Italia unita, è anche culla di scoperte scientifiche: la moderna criminologia – merito del controverso professor Lombroso, la dinamite, il sistema metrico decimale – opera di Lagrange, autore anche del celebre teorema omonimo – e le leggi sui fluidi non newtoniani di Avogadro. Oggi ospita 44’000 studenti universitari, seconda città italiana più scelta per gli studi superiori dopo Milano, e ha ospitato 6’000’000 di turisti nel 2023. Malgrado tutti questi primati, tuttavia, Torino non riesce a imporsi nel panorama nazionale ed europeo; anzi, la percezione è quella di una metropoli che non ha un’amministrazione alla sua altezza da almeno cinquant’anni. L’espressione più lampante di ciò, secondo esperti ed opinione pubblica, è il trasporto, sia pubblico che privato.

Le scale del capolinea della metropolitana in piazza Bengasi, ferme da più di due anni. Cortesia del Quotidiano Piemontese.
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Le prime avvisaglie dell’incapacità di Torino di adeguarsi alle esigenze di una metropoli moderna si datano agli anni ’60. Il nove febbraio 1955 il presidente della repubblica Einaudi inaugurò a Termini la metropolitana di Roma, il primo novembre 1964 toccò a Milano… e Torino? Il capoluogo sabaudo era il feudo del casato degli Agnelli fin dalla fondazione della FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino), nel 1899, ma era col boom economico che questo predominio era divenuto ancor più evidente: mentre Milano si avviava a diventare capitale della moda e del commercio italiano e Roma della politica, Torino lo diveniva dell’industria. Questo passaggio significò per almeno cinquant’anni l’esclusione di qualsiasi prospettiva per la città che andasse al di fuori del settore secondario. Nel 1961, anno del centenario dell’unità, fu approntato un progetto che prevedeva tre linee di metropolitana, ma la crisi dell’auto nel 1964 e l’autunno caldo del 1969 bloccarono i lavori, che dopo la crisi petrolifera del 1973 non riprenderanno mai più per oltre trent’anni. Bisognerà aspettare le olimpiadi invernali del 2006 perché si veda finalmente aprire la metro 1, ma anche qui le aspettative furono in parte disattese: si optò all’epoca per una metropolitana a scartamento ridotto, senza prevedere l’enorme flusso che il servizio avrebbe dovuto fronteggiare (43’000’000 di passeggeri all’anno). Se si considera che da più di due anni chiude alle nove e mezza di sera, poi… e della metro 2, prevista per il 2012, non c’è ancora traccia.

Il gigantesco ingorgo del 16 ottobre scorso in piazza Baldissera. Cortesia di Torino Cronaca.
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Meglio evitare di soffermarsi sulle linee 2, 3, 4 e 5, che dovrebbero essere sostitutive di altrettante linee di metropolitana (in particolar modo la 3, che ha corsie preferenziali e fermate da metro di superficie), progetto fallito degli anni ’80. Appare più proficuo dedicarsi ai problemi della viabilità automobilistica degli ultimi vent’anni: la rotonda di piazza Baldissera ha causato, nemmeno un mese fa, un ingorgo che ha coinvolto 50’000 persone. L’odiatissimo rondò fu realizzato per risparmiare sui costi del rifacimento del passante del tram 10, diviso quindi in due tronconi dal 2012. Fortunatamente, è stato approvato un piano di ristrutturazione totale che farà tornare il 10 tram su tutta la linea e gli incroci semaforici. La viabilità di Torino rimane infatti un busillis notevole, specialmente in centro: tra controviali, incroci complessi, strisce pedonali insufficienti e la trasformazione nella prassi di viali in vere e proprie piste da corsa, quali corso Inghilterra e corso Unione Sovietica, la guida dei torinesi la porta ad avere un altro triste primato: Torino è infatti la terza città in Italia per numero di incidenti stradali (2’059 nel 2020). La carenza di piste ciclabili, inoltre, ha un che di sconvolgente: i 250 chilometri di strade riservate ai veicoli a due ruote non sono infatti sufficienti e i sinistri che coinvolgono i ciclisti sono stati 322 nel solo 2022, con 273 feriti e 3 morti. Insomma, le strade del capoluogo sabaudo non sembrano essere sicure né per la mobilità tradizionale né per quella alternativa.

Un autobus della linea 5 in fiamme, 2012. Cortesia della Stampa.
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Un luogo che ospita così tanta cultura e che intende affermarsi sia come città universitaria che turistica deve affrontare le proprie evidenti carenze infrastrutturali e la mancanza di una visione moderna e competitiva. Non basta prolungare il servizio della metro 1 in occasione delle ATP Finals o per l’Eurovision, né sostituire i pur quasi centenari tram serie 2800 con i modernissimi Hitachi serie 8000. Torino sembra incapace di sganciarsi dal proprio passato “autocentrico” che oggi sembra impedirle di proiettarsi in un futuro fatto di mobilità sostenibile, sicura e accessibile a tutti. I crescenti investimenti riusciranno a smuovere la città dal profondo torpore amministrativo e infrastrutturale in cui sembra congelata o si continuerà semplicemente ad alzare il costo degli abbonamenti GTT e a far circolare controllori e Guardia di Finanzia coi cani una volta al mese? Non che non serva, ma forse si potrebbe fare qualcosa in più.

Vincenzo Ferreri Mastrocinque

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