Chi sei? Lo smemorato di Collegno

Il misterioso caso, rinominato “lo smemorato di Collegno”, si presenta tra le vicende più enigmatiche e affascinanti della cronaca italiana del Novecento. Intriso di mistero, colpi di scena e caratterizzato da un’intensa attenzione mediatica, questo caso non solo sfidò le capacità investigative dell’epoca, ma sollevò anche interrogativi profondi sull’identità, la memoria e la verità. Una storia così surreale da farci pensare che sia in realtà tratta da un’opera di Pirandello, che in effetti si fece ispirare dalla vicenda per scrivere il dramma “Come tu mi vuoi”.

La storia inizia il 10 marzo 1926 a Collegno, cittadina vicino Torino. Un uomo apparentemente spaesato e privo di documenti fu arrestato per aver rubato dei vasi dal cimitero israelitico della città di Torino. Interrogato dalle autorità, non fu in grado di fornire alcuna informazione su chi fosse, da dove venisse o quale fosse il suo passato. Come se prima di allora non fosse mai esistito. Le autorità riconoscendo lo stato confusionale dell’uomo, che si presentava come un vagabondo, decisero di farlo ricoverare nel manicomio di Collegno. L’anno dopo, nel 1927, la sua immagine venne diffusa sui giornali e pubblicata per cercare qualcuno che potesse riconoscerlo. La domanda centrale che ci si poneva era: chi era davvero lo smemorato?

A pochi anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, erano molte le famiglie che cercavano ancora una persona cara che si era smarrita. La svolta del caso, infatti, non tardò ad arrivare. Una donna, Giulia Canella, moglie di un professore veronese scomparso nel 1916 durante la guerra, si presentò affermando di riconoscere lo smemorato come suo marito, Giulio Canella. Giulia dichiarò di averlo identificato grazie a dettagli fisici e comportamentali.

La notizia ebbe un enorme impatto emotivo e mediatico, diventando presto un caso che infondeva speranza in coloro che cercavano ancora i loro dispersi. La famiglia Canella accolse l’uomo con calore e molti notarono che si comportava come se avesse effettivamente ricordi della vita di Giulio. Tuttavia non tutti erano convinti. Alcuni osservatori sottolinearono che le sue risposte erano vaghe e che poteva essersi adattato ai racconti della “moglie”.

Un altro colpo di scena emerse, intrecciando nuovamente i fili del caso. Arrivò alla questura di Torino una lettera anonima che sosteneva che l’uomo fosse in realtà Mario Bruneri, un tipografo torinese, con un passato burrascoso e una fedina penale macchiata, che già in passato aveva modificato la sua identità diverse volte. La somiglianza tra lo smemorato e Bruneri era notevole, ma mancavano prove definitive.

Le autorità indagarono a fondo. Furono raccolte testimonianze, confrontati dati biometrici e analizzati documenti. Ogni scoperta, però, sembrava sollevare più domande che risposte. La controversia tra le due identità divenne il cuore pulsante del caso, il quale culminò in un lungo e complesso processo giudiziario, che attirò l’attenzione nazionale. La questione centrale era stabilire se l’uomo fosse realmente Giulio Canella, come sosteneva la moglie Giulia, o Mario Bruneri, come affermavano altre testimonianze.

Nel 1928, il tribunale dichiarò ufficialmente che l’uomo era Mario Bruneri, basandosi su prove ritenute più convincenti. Tuttavia, questo verdetto non pose fine al dibattito. Giulia Canella continuò a sostenere, fino alla fine dei suoi giorni, che lo smemorato fosse suo marito e si prese cura di lui come tale.

Che l’uomo fosse Giulio Canella, Mario Bruneri o nessuno dei due, la sua vicenda resta una testimonianza unica della complessità dell’essere umano e del potere della mente di riscrivere se stessa, di volersi convincere di fatti che non sono veri.

“Lo smemorato di Collegno” divenne il simbolo stesso della smemoratezza, e la sua vicenda diede origine a un’espressione d’uso comune per descrivere “una persona estremamente distratta, incline a dimenticare tutto” o “chi simula di non comprendere”.

Chiara D’Amico

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