Vite in Palestina 02: il racconto dell’attivista aggredito dai coloni

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In che cosa consistevano le tue mansioni? Come avete agito concretamente?

Noi attivisti internazionali di Mediterranea e di Operazione Colomba agiamo principalmente in due sensi: innanzitutto, mettiamo in atto l’interposizione non violenta, che consiste nell’affiancare quotidianamente i palestinesi minacciati dalle forze di occupazione israeliane (coloni, polizia ed esercito). Questo significa, ad esempio, accompagnare i pastori al pascolo con le greggi, dormire nelle case dei palestinesi più presi di mira dagli attacchi israeliani per dare loro un po’ di sostegno, un po’ di stabilità, o passare del tempo con le famiglie palestinesi, anche solo per un tè. La nostra presenza è importante perché un passaporto europeo o più genericamente occidentale costituisce in qualche modo un deterrente, un limite al livello di violenza che i coloni possono mettere in atto.
Inoltre, il nostro compito è quello di essere osservatori e osservatrici internazionali, col dovere quindi di documentare e raccontare le violazioni dei diritti umani  a cui assistiamo in Europa, dove la nostra voce, privilegiata rispetto a quella palestinese, ha più possibilità di essere ascoltata. Noi non dobbiamo parlare a nome dei palestinesi, dobbiamo semplicemente amplificare le loro voci, fungere, insomma, da megafono alle loro richieste politiche.

Immagino che tu ti sia ritrovato anche in situazioni non facili da gestire. L’aggressione che hai subito quest’estate da parte di coloni israeliani è stata riportata da svariate testate italiane. Che cos’è successo quel giorno?

Era la sera del 3 luglio. Insieme a una volontaria di Operazione Colomba, ci trovavamo ad Al-Tuwani, il principale villaggio palestinese della regione collinare a Sud di Hebron. Dopo cena, un paio di attivisti palestinesi ci hanno detto che nel villaggio di Khallet Athaba stavano appiccando degli incendi. Una volta arrivati sul posto, abbiamo visto i roghi, appiccati appena un’ora prima dai coloni israeliani, scortati dalla polizia, che è intervenuta non tanto per arrestare gli incendiari, quanto piuttosto per cacciare i palestinesi che tentavano di spegnere l’incendio. Noi intanto riprendevamo tutto, per documentare l’accaduto.
A un certo punto abbiamo notato che una colonna di circa settanta coloni a volto coperto, dotati di taniche di benzina e armati di M16 e mazze, si stava dirigendo verso le case. Per evitare il peggio, noi ci siamo frapposti tra il villaggio e gli israeliani, che hanno risposto aggredendo alcuni palestinesi, tra cui Abbas, un ragazzo arrestato poi dalla polizia e tenuto per più di 48 ore in una caserma vicina, senza ricevere le cure mediche necessarie per le fratture riportate a entrambe le gambe e a un polso in seguito al pestaggio.

Purtroppo, uno dei coloni mi ha raggiunto e ha spinto a terra, prendendomi a calci e colpendomi al viso con il manico di una zappa, aiutato da altri cinque o sei uomini. Ho provato a dire che ero italiano, che ero internazionale, ma non è servito a niente. Durante il pestaggio mi hanno rubato il cellulare, che è stato distrutto. Per trarmi in salvo, ho camminato tutta la notte fino a un villaggio vicino, dove un pastore palestinese e suo figlio mi hanno soccorso. 

Crediti immagine: Alessandro Santoni

Al di là del mio vissuto, quello che è importante raccontare è che questa esperienza traumatica, così inusuale per un attivista internazionale, è invece considerata “normale” dal popolo palestinese, che subisce quotidianamente gli abusi e le prepotenze degli occupanti. Inoltre è importante raccontare che , grazie alla nostra attività di interposizione, il villaggio di Khallet Athaba quella notte non è stato bruciato: abbiamo infatti scoperto la mattina seguente che i coloni, troppo impegnati a inseguire noi per compiere l’atto, sono tornati indietro a mani vuote.

Ti leggo due notizie degli ultimi giorni: “Il primo ministro israeliano ha dichiarato al Wall Street Journal che non firmerà un accordo per la liberazione degli ostaggi con Hamas che porrà fine alla guerra” (Sky TG24), “Gaza, il bilancio della guerra sale a 45.227 morti” (Sky TG24). Come le commenteresti?

Sono due notizie molto legate tra loro. Israele, fin dalla sua nascita, cioè dalla guerra del Quarantotto, ha sempre portato avanti una politica colonialista nei confronti della popolazione palestinese. Il tentativo di occupare sempre più territori, di cacciare dalle loro terre i palestinesi è una costante della loro storia. E’ chiaro che gli ostaggi non sono una reale priorità per il governo Netanyahu, ma una scusa contingente usata per mettere in atto il genocidio di un intero popolo.

Che cosa dovrebbe fare secondo te l’università italiana?

Il sostegno da parte delle istituzioni italiane nei confronti di Israele è forte e il numero di università italiane che hanno accordi con Israele è elevato. Per questo le proteste studentesche contro il mantenimento dei rapporti accademici sono fondamentali e si inseriscono in un più ampio movimento di contestazione, che si prefigge come scopo l’isolamento totale di Israele, Stato colpevole di crimini contro l’umanità, come dichiarato dalla Corte di Giustizia Internazionale.

Micol Cottino e Alessandro Santoni

Fonte immagine in evidenza: https://www.pressenza.com/it/2024/07/cisgiordania-assalto-dei-coloni-a-villaggio-palestinese-pestato-a-sangue-attivista-italiano/

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