Il giornalismo di guerra esiste da tempi immemori, infatti molti furono i combattenti e i comandanti romani a riportare le vicende in lunghi racconti in latino. Lo stesso Gaio Giulio Cesare può essere considerato uno dei primi inviati di guerra, poiché scrisse e raccolse i propri commenti sulla campagna di conquista e pacificazione attuata nel territorio della Gallia Transalpina (l’attuale regione francese della Provenza) nel De Bello Gallico, offrendo così il proprio punto di vista sul conflitto. Chiaramente quello non fu un giornalismo di guerra come lo intendiamo oggi, Giulio Cesare non era una figura che si occupava esclusivamente di riportare i fatti e gli scontri, bensì faceva parte del conflitto in prima persona in quanto comandante delle legioni romane. Oggi, la stampa, dopo un lungo processo durato secoli, gode ormai di larga diffusione, mentre una vasta rete di giornali online e svariati telegiornali mirano a fornire infomazioni su base quotidiana. Il giornalismo di guerra ha assunto dunque una connotazione ben diversa e viene definito come una branca del giornalismo che si concentra sul raccontare le vicende belliche attraverso figure specifiche, come inviati e corrispondenti, i quali vengono mandati sul posto per osservare con i propri occhi gli avvenimenti.
Fu il giornalista irlandese William Howard Russell a essere definito come il primo vero e proprio inviato di guerra. Questi lavorava per il giornale Times di Londra e, quando scoppiò la guerra di Crimea nel 1854, venne inviato al fronte dal direttore come corrispondente di guerra affinché gli fornisse un racconto esclusivo sui fatti reali. Raccontò con onestà le difficili e complicate condizioni di sopravvivenza dei soldati inglesi, nonché la grande quantità di morti che venivano abbandonati sotto i colpi di arma da fuoco del nemico russo. Fu dunque il primo a dare una conferma visiva dell’orrore della guerra che, fino a quel momento, chi non era al fronte poteva solo immaginare. Il ruolo dell’inviato di guerra si consolidò nei secoli successivi, soprattutto durante le due guerre mondiali, creando una rete di giornalisti che si affiliavano a diverse testate e che venivano inviati sul posto non appena scoppiava un nuovo conflitto, proprio come era successo a Russell.
Tutt’oggi gli inviati di guerra costituiscono un punto fondamentale per poter comprendere gli sviluppi e le motivazioni dietro allo scoppio di un conflitto. Si tratta di un lavoro molto complicato sotto diversi punti di vista. Il primo riguarda la sicurezza: poiché si trovano a soggiornare in luoghi che potrebbero essere soggetti a bombardamenti, raid aerei o conflitti a fuoco, i giornalisti spesso vengono posti sotto la tutela e la protezione dei militari di una delle due parti in conflitto. Un secondo rischio è legato al tipo di informazioni che si possono condividere: i giornalisti rischiano di andare incontro alla censura, perché il gruppo militare specifico che li tutela potrebbe non desiderare che essi diffondano determinate notizie considerate potenzialmente pericolose né che allarmino l’opinione pubblica riportando la grande quantità di perdite o di sconfitte. Questo è successo durante la Prima Guerra Mondiale: dopo la disfatta della battaglia di Caporetto, la notizia venne riportata in maniera confusa dai giornali senza far sapere davvero quanto grave fosse stato l’esito dello scontro e senza far trapelare la grande quantità di soldati caduti, perché il governo italiano non voleva far percepire al proprio popolo quanto la sconfitta fosse imminente.
Molti giornalisti sono andati incontro a problematiche di salute dovute al lungo tempo trascorso al fronte, ad esempio Franco di Mare, che per svariati anni seguì come corrispondente di guerra della Rai per il TG1 i conflitti bellici più importanti, quali quelli nel Kosovo, in Ruanda, in Algeria e in Afghanistan. Negli anni in cui era un inviato e si trovava al fronte aveva però respirato una grande quantità di particelle di amianto, che in età più adulta lo avevano portato a sviluppare un mesotelioma, un tumore inguaribile, causa della sua morte nel maggio del 2024. Ma i pericoli non si limitano ai soli rischi per la salute: tanti giornalisti durante il loro impiego sono stati arrestati e incarcerati nel Paese in cui si svolgeva il conflitto. L’esempio più lampante è sicuramente quello di Cecilia Sala, giornalista specializzata in politica estera, arrestata alla fine del 2024 in Iran e detenuta in carcere in condizioni a dir poco disumane. Numerosi giornalisti vengono uccisi mentre svolgono il loro lavoro, a volte intenzionalmente, altre volte perché, purtroppo, si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il giornalismo di guerra è un ambito che ci permettere di vivere la Storia mentre gli eventi accadono, di mantenere viva la coscienza del valore dell’informazione. Spesso si dimentica quanto importante sia il ruolo dei giornalisti e degli inviati che seguono con attenzione e dedizione gli eventi per non lasciare nessuno all’oscuro delle vicende belliche nel mondo.
Alice Chiara Nesta
Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/William_Howard_Russell
https://www.ilpost.it/2022/03/12/ucraina-inviati-reporter-giornali/
