Il dialogo di Platone intitolato Menone si contraddistingue per la sua profonda riflessione sulla natura della conoscenza e sul processo di apprendimento umano. Centrale è la teoria della reminiscenza, che esprime la capacità dell’anima di raggiungere la verità attingendo a conoscenze innate. Il Menone è anche un terreno fertile per osservare la contrapposizione tra il metodo socratico e l’approccio sofistico, evidenziando la tensione tra la ricerca della verità assoluta e l’uso strumentale della conoscenza.
Nel dialogo Platone elabora l’idea che l’anima umana possieda una conoscenza innata, acquisita prima della nascita. Secondo questa teoria, l’apprendimento non è un processo di acquisizione di nuove informazioni, ma piuttosto un “ricordare” ciò che già è presente nell’anima. Questa concezione introduce una dimensione trascendentale e universale della conoscenza, che non si limita all’esperienza sensoriale. Le forme ideali, concetti perfetti ed eterni come la giustizia, la bellezza e la bontà, sono centrali in questa teoria: rappresentano la realtà ultima e immutabile, mentre il mondo sensibile ne è solo un riflesso imperfetto. Attraverso la reminiscenza, l’anima può attingere a queste forme ideali, dimostrando che la conoscenza autentica risiede nell’intuizione delle verità universali piuttosto che nell’osservazione empirica.
Il dialogo evidenzia il contrasto tra il metodo socratico, basato sull’indagine razionale e critica, e l’approccio sofistico, fondato sull’arte della persuasione e sul relativismo. I sofisti consideravano la conoscenza come una costruzione soggettiva, utile a influenzare le opinioni e raggiungere scopi pratici. In opposizione, Socrate perseguiva la conoscenza autentica attraverso un processo di interrogazione che mirava alla coerenza e alla verità. Questa contrapposizione emerge chiaramente nelle prime battute del dialogo, quando Menone chiede se la virtù sia insegnabile. Socrate sottolinea l’importanza di definire l’essenza di un concetto prima di indagarne le proprietà, evidenziando il principio di priorità epistemica. Questo principio, criticato da alcuni come paralizzante per l’indagine, diventa invece un punto di partenza per esplorare il tema della conoscenza innata. Menone solleva un’aporia cruciale: è possibile cercare qualcosa che non si conosce? E come si può riconoscerla una volta trovata? Questo paradosso sembra mettere in dubbio la possibilità stessa di apprendere, ma Socrate lo utilizza per introdurre la teoria della reminiscenza. Non si tratta di “conoscere” o “ignorare” in senso assoluto, ma di “ricordare” ciò che già è presente nell’anima.
Attraverso un esperimento maieutico, Socrate dimostra questa teoria interrogando uno schiavo su un problema geometrico. Pur privo di istruzione formale, lo schiavo riesce a “ricordare” la soluzione grazie alle domande strategiche di Socrate, che stimolano il suo ragionamento. Questo processo dimostra che la conoscenza non viene impartita dall’esterno, ma emerge dalle capacità innate dell’individuo. Il metodo con cui Socrate guida i suoi interlocutori verso la scoperta personale della verità è la maieutica, la cosiddetta “arte della levatrice”. Invece di trasmettere informazioni, Socrate stimola il pensiero critico e il ragionamento logico, portando l’interlocutore a “partorire” la conoscenza latente. Questo approccio evidenzia una concezione educativa profondamente innovativa, in cui l’insegnante è un facilitatore piuttosto che un depositario di sapere.
Nel dialogo con lo schiavo, Socrate utilizza domande progressive e ripetitive per consolidare la comprensione e guidare l’interlocutore verso la soluzione. Questo metodo non solo favorisce l’apprendimento, ma sviluppa anche capacità di pensiero critico, dimostrando che il processo educativo è un cammino di scoperta biunivoca tra maestro e allievo. Il dialogo evidenzia il contrasto tra il metodo socratico, basato sull’indagine razionale e critica, e l’approccio sofistico, fondato sull’arte della persuasione e sul relativismo. I sofisti consideravano la conoscenza come una costruzione soggettiva, utile a influenzare le opinioni e raggiungere scopi pratici. In opposizione, Socrate perseguiva la conoscenza autentica attraverso un processo di interrogazione che mirava alla coerenza e alla verità. Questa contrapposizione emerge chiaramente nelle prime battute del dialogo, quando Menone chiede se la virtù sia insegnabile. Socrate sottolinea l’importanza di definire l’essenza di un concetto prima di indagarne le proprietà, evidenziando il principio di priorità epistemica. Questo principio, criticato da alcuni come paralizzante per l’indagine, diventa invece un punto di partenza per esplorare il tema della conoscenza innata. Menone solleva un’aporia cruciale: è possibile cercare qualcosa che non si conosce? E come si può riconoscerla una volta trovata? Questo paradosso sembra mettere in dubbio la possibilità stessa di apprendere, ma Socrate lo utilizza per introdurre la teoria della reminiscenza. Non si tratta di “conoscere” o “ignorare” in senso assoluto, ma di “ricordare” ciò che già è presente nell’anima.
Marina Palumbieri
