Estate del 1997. Ettore, un preadolescente tormentato dal passato, e sua madre, una donna determinata, lasciano la casa in cui convivevano con un padre e marito violento e si trasferiscono in un piccolo paese di mare “da qualche parte nel Sud Italia“. Vogliono ricominciare da capo, insieme.
Questo è l’incipit de Il migliore dei mali, una storia di formazione dalle tinte oscure e fantascientifiche, nata nel 2019 come graphic novel dalla penna di Violetta Rovetto (nota su YouTube come Violetta Rocks) e dalle illustrazioni di Marco “Tarma” Tarquini.
Il migliore dei mali è stato poi adattato per il grande schermo e il 6 marzo scorso è uscito nei cinema italiani, rappresentando il debutto alla regia per la stessa Rovetto.
Sul versante tecnico, le location del film sono degne di nota: il set si è spostato tra la Calabria e il Molise e ha mostrato angoli del nostro Paese che raramente trovano spazio in produzioni cinematografiche più mainstream.
Anche la colonna sonora originale, curata dalla compositrice Tecla Zorzi, dona freschezza all’opera e crea la giusta suspense nelle scene dall’esito più incerto.
Il lungometraggio, dicevamo, è ambientato negli anni ’90, un’epoca capace di suscitare nostalgia anche in chi non l’ha vissuta in prima persona, in cui si camminava per strada con il walkman per ascoltare la musica e i televisori assomigliavano più a grossi scatoloni che ad apparecchi tecnologici.
Su questo sfondo si sviluppano le misteriose e inquietanti vicende che vedono come protagonisti Ettore e i suoi nuovi amici: cinque coetanei fuori dal comune alle prese con il difficile compito di crescere, ma anche con problemi più grandi di loro, tra cui la scomparsa del cane Icaro, delle gravi perdite familiari e un’identità da tenere nascosta.
Come in altre opere che mescolano elementi teen drama, sovrannaturali e mystery – tra le più celebri, ricordiamo Stand by me e Stranger Things – il gruppo unito da una forte amicizia assume un ruolo chiave, dimostrando come l’accettazione e il lavoro di squadra possano fare la differenza.
Nonostante la centralità della dimensione collettiva, non manca un’attenta caratterizzazione dei singoli personaggi, ai quali è impossibile non affezionarsi fin dalle prime scene.
Oltre a Ettore, che si distingue per gentilezza e tenacia, conosciamo Milo, dall’animo vivace e sognatore, Dante, introverso e intelligente, Neri, scontroso soltanto all’apparenza, e infine Michelangelo, fragile e coraggioso al tempo stesso.
Ma chi è il pericoloso cattivo da sconfiggere per salvare Icaro? Milo è convinto di sapere con certezza chi ha rapito il suo adorato compagno di giochi: si tratta del suo nuovo vicino di casa, un uomo dallo sguardo decisamente poco rassicurante. Indizio dopo indizio, il ragazzino riuscirà a convincere anche i suoi amici più scettici e persino il pubblico in sala.
Adottando un livello di lettura più profondo, però, il vero villain della storia va ricercato in qualcosa di ben più spaventoso e subdolo: l’acciaieria Termaranto, un colosso industriale che da un lato sembra fornire sicurezza economica agli abitanti del paese, permettendo loro di mantenere le proprie famiglie, dall’altro inquina l’ambiente, avvelena lentamente, uccide. Questa scelta narrativa, chiaro riferimento all’Ilva di Taranto, pone l’accento su un drammatico problema: ha senso parlare di libera scelta, quando le uniche due opzioni disponibili sono ammalarsi a causa del proprio lavoro e non avere i soldi per portare il pane in tavola?
Termaranto è ovunque: nei rifiuti che invadono la spiaggia, nelle ciminiere che sputano fumi tossici, nei discorsi indignati di chi ha a cuore la salute dei lavoratori, nell’acqua che esce dai rubinetti, nelle lacrime di chi ha perso un familiare. Sembra non esserci una via di scampo: prima o poi, qualsiasi organismo vivente sarà minacciato dal suo veleno, a meno che non riesca a evolversi e ad adattarsi alle nuove condizioni ambientali. In questo contesto, sarà proprio l’identità segreta e “mostruosa” dei protagonisti a rappresentare una speranza e a permettere loro di sopravvivere, dimostrando come la diversità, talvolta, possa essere “il migliore dei mali“.
Il tema dell’identità da celare al resto del mondo può anche essere letto come un riferimento all’esperienza delle persone della comunità LGBTQ+, che spesso si trovano costrette a nascondere una parte importante di sé pur di non subire discriminazioni e violenza.
In più, l’esistenza e l’amore queer non sono relegati a un sottotesto, ma, come raramente avviene nel cinema italiano, vengono esplicitamente mostrati attraverso due personaggi centrali, protagonisti di scene dalla delicatezza tale da ricordare la serie TV Heartstopper. Tuttavia, la queerness costituisce solamente uno dei tanti tasselli che compongono la loro storia, arginando così il rischio di ridurli a uno stereotipo.
Insomma, Il migliore dei mali è un film che scalda il cuore e che parla con semplicità a un pubblico giovane e meno giovane, soprattutto grazie alle importanti tematiche che si intrecciano in una narrazione fluida e coinvolgente.
Visto che il finale lascia intendere la possibilità di un sequel, non ci resta che augurarci che il progetto di Violetta Rovetto possa proseguire e ritornare molto presto nei cinema italiani.
Ilaria Vicentini
Crediti foto in evidenza: https://redcapes.it/il-migliore-dei-mali-un-cinema-italiano-diverso-e-possibile-recensione-noir-film-festival/
