Poeta, pittore, incisore: visionario. Difficile restituire in poche parole un ritratto completo ed esaustivo di William Blake (1757-1827). I più lo ricorderanno per le poesie tratte da Songs of Innocence e Songs of Experience studiate al liceo, ma è stato anche molto altro: un personaggio controverso, un pazzo agli occhi dei propri contemporanei; un artista particolarmente apprezzato dai preraffaelliti; un precursore del simbolismo; ma ancora, un attento osservatore sociale, un acceso polemista, un uomo dalla fortissima e personalissima religiosità, perennemente in conflitto con la Chiesa d’Inghilterra.
La straordinaria unicità dell’opera artistico-poetica di Blake ha fatto sì che la sua influenza sia tuttora percepibile nei più svariati ambienti culturali: pittorico, letterario e persino musicale.
Ma andiamo con ordine.
Nel 1793 – verosimilmente – Blake pubblica The Marriage of Heaven and Hell: una raccolta di testi in prosa scritta con uno stile che strizza l’occhio ai testi biblici. Composta nei tre anni precedenti (nel periodo di fermento radicale e conflitto politico della Rivoluzione Francese), l’opera è in prosa, appunto, a eccezione dell’Argomento e del Canto della Libertà. Come già Dante e Milton, anche Blake si avvale qui dell’espediente narrativo della visita all’Inferno da parte dell’autore stesso, sebbene la concezione di Inferno offerta da quest’ultimo si discosti notevolmente dalle altre: non un luogo di punizione, ma una fonte di energia non repressa, nietzschianamente dionisiaca, contrapposta all’autoritaria e regolata realtà del Paradiso. Da questi scritti emerge in maniera evidente la condanna alla natura repressiva della moralità convenzionale e della religione istituzionale.
Centosessantuno anni dopo, nel 1954, vede la luce The Doors of Perception, un resoconto di Aldous Huxley (scrittore e filosofo britannico; 1894-1963) della propria esperienza nell’assunzione di mescalina. Il titolo scelto da Huxley altro non è che parte di un verso di Blake, tratto proprio da The Marriage of Heaven and Hell: «If the doors of perception were cleansed every thing would appear to man as it is, Infinite.» In quest’opera, Huxley descrive le percezioni vissute durante il trip quali esperienze concrete, come se le droghe allucinogene fossero in grado di aprire le porte alla percezione di una realtà invisibile, ma pur sempre reale.
Il testo è suddiviso in due parti: la prima è un resoconto delle esperienze dell’autore, che vengono poi analizzate nella seconda sezione. Lo scrittore annota come, in seguito all’assunzione della sostanza, si avverta una vivificazione dei colori – oltremodo sgargianti – e un’inibizione ad agire. Huxley ipotizza, quindi, che la funzione del cervello sia quella di valvola “riduttrice” delle esperienze che vengono ritenute inutili per la sopravvivenza dell’individuo. La mescalina, in effetti, frenando l’assimilazione di glucosio da parte del cervello, ne diminuirebbe la facoltà di filtro.
Il filosofo britannico sostiene, poi, che gli individui cerchino – in una società sempre più alienante – di sfogarsi rifugiandosi in momenti di sollievo, siano essi sani (come l’attività sportiva) o dannosi (come l’alcol e il fumo); questi risultano, però, assolutamente inutili in un’ottica di evoluzione spirituale. La mescalina (identificata da Huxley come una sostanza a minimo impatto ambientale, a differenza di alcol e tabacco), al contrario, sarebbe un utilissimo strumento, in grado di aprire la strada all’esperienza mistica.
Non mancano, inoltre, all’interno del testo, riferimenti ad altri autori. Tra i più interessanti, si segnala la lunga citazione di Goethe che viene riportata per sostenere come la comunicazione verbale sia una convenzione necessaria della nostra cultura, ma non lo strumento più alto: secondo lo scrittore tedesco, in effetti, è la comunicazione visuale ad avere maggiore capacità evocativa e di risveglio delle facoltà spirituali – parallelo interessante con Blake, che era solito “incorniciare” i propri componimenti con illustrazioni atte a rendere ancor più significativi e impattanti i contenuti testuali, ricoprendo un ruolo, per certi versi, complementare a questi ultimi.
Degna di nota è anche la critica che l’autore muove alla società e alle religioni occidentali, ree di non essere strutturate in modo tale da fornire agli uomini un percorso spirituale adeguato. Per questo, il filosofo britannico auspica la venuta di una nuova generazione di scienziati che, tramite un approccio umanistico, riescano a sviluppare una tecnologia finalizzata all’accrescimento della consapevolezza e della spiritualità, da lui ritenute nettamente più importanti del puro sapere nozionistico, che pone invece su un gradino infimamente più basso.
Il saggio di Huxley si configura nel complesso come un’opera favorevole alla liberalizzazione delle droghe psichedeliche, augurandosi uno sforzo tecnologico e culturale significativo verso la ricerca di psichedelici utili alla crescita spirituale della collettività.
Nel prossimo articolo faremo un salto di cinque anni, per arrivare al 1959, quando Norman O. Brown pubblica Life Against Death.
Giovanni Musso
FONTI:
- William Blake, Il matrimonio del cielo e dell’inferno. Testo inglese a fronte, SE
- https://it.wikipedia.org/wiki/William_Blake
- https://it.wikipedia.org/wiki/Il_matrimonio_del_cielo_e_dell%27inferno
- Aldous Huxley, Le porte della percezione – Paradiso e inferno, Mondadori
- https://it.wikipedia.org/wiki/Le_porte_della_percezione


