Momento Hamilton per l’Europa

Crediti immagine: euractiv.com https://www.euractiv.com/section/defence/news/divided-eu-leaders-to-hammer-out-budget-at-february-summit/

Gli Eurobond sono forse l’argomento più discusso nelle sedi europee. Ne abbiamo sentito parlare in Italia soprattutto dopo la crisi Covid, durante il governo Draghi, quando grazie a questi strumenti il governo riuscì a promuovere il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), aumentando la spesa pubblica necessaria per rilanciare il motore economico nazionale. È dunque fondamentale porci una domanda: che cosa sono esattamente Gli Eurobond?

Gli Eurobond sono obbligazioni internazionali emesse in una valuta diversa da quella del Paese di emissione.

Il termine può risultare fuorviante: nonostante il prefisso “euro”, queste obbligazioni non sono nate nel contesto dell’Unione Europea né hanno origine con la moneta unica. Al contrario, risalgono agli anni Sessanta, ben prima dell’introduzione dell’euro.

La loro nascita è legata a una fase di turbolenza monetaria e politica: nel 1963 gli Stati Uniti introdussero restrizioni alla fuoriuscita di capitali (Interest Equalization Tax), nel tentativo di contenere i disavanzi nella bilancia dei pagamenti. Questa misura spinse molte imprese europee e internazionali a cercare modalità alternative di finanziamento, dando così vita a un mercato obbligazionario offshore — quello degli Eurobond — al di fuori della regolamentazione americana.

Questo fenomeno è altresì interessante perché aprì inevitabilmente la strada a una riflessione sul rischio comune a cui tali imprese — e, per estensione, gli Stati — andavano incontro, condividendo forme di indebitamento. Una tematica che, con trame diverse, riemerse durante la crisi dell’Eurozona, quando gli Stati europei decisero di mettere in comune parte del proprio debito pubblico per affrontare il delicato momento.

Durante la crisi sovrana iniziata nel 2010, il debito pubblico greco superò il 180% del PIL e il rischio di default di Atene mise a rischio la stabilità finanziaria dell’intera Eurozona. In risposta, fu creato il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), un fondo di salvataggio da oltre 500 miliardi di euro, che poté essere utilizzato per garantire prestiti e sostegno finanziario agli Stati in difficoltà. Parallelamente, gli Stati membri discussero la possibile emissione di Eurobond come strumento per condividere il rischio sovrano.

Per comprendere appieno le implicazioni di questo tipo di mutualizzazione del debito, è utile fare un salto indietro nel tempo, verso la fine del Settecento, durante la presidenza di George Washington. All’epoca, le tredici colonie americane godevano ancora di una certa autonomia: potevano emettere moneta e contrarre debiti in modo indipendente. L’unificazione politica ed economica prese forma quando Alexander Hamilton, allora Segretario al Tesoro, propose che il governo federale si assumesse i debiti contratti dai singoli Stati. In cambio, questi ultimi persero parte della loro autonomia finanziaria. Il governo centrale alzò le tasse per saldare i debiti e iniziò a emettere titoli federali, sancendo così un passo decisivo verso l’unione fiscale.

In un certo senso, qualcosa di analogo si verificò in Europa durante la crisi greca: per evitare il default, l’Unione decise di ricorrere a forme di obbligazioni comuni. In cambio, la Grecia fu costretta ad accettare misure di austerità estremamente rigide — tra cui tagli alla spesa pubblica e aumenti fiscali — che, per quanto ritenute necessarie all’equilibrio complessivo dell?Unione, difficilmente sarebbero state adottate in un contesto puramente nazionale.

È facile immaginare che una situazione simile possa ripresentarsi in futuro, in Italia così come in altri Paesi membri che, di fatto, non riusciranno mai a ripagare un debito pubblico oltre la soglia del 140% del PIL, con tassi d’interesse in crescita e un contesto demografico caratterizzato da una forza lavoro in contrazione — condizioni che mettono a rischio la sostenibilità a lungo termine del medesimo debito.

L’unico barlume di speranza sembra risiedere proprio nell’accomunamento del rischio. La terza economia dell’area euro non può andare incontro a un default senza conseguenze negative per tutti gli altri Paesi con cui ha intrecciato profondi legami economici. L’adozione di obbligazioni europee, che consentano un aumento della spesa pubblica e il risanamento delle finanze statali, potrebbe rappresentare una via d’uscita. Tuttavia, questo comporterebbe inevitabilmente una messa in discussione dell’indipendenza economica nazionale. Come accaduto in Grecia, ottenere l’accesso a fondi comuni europei comporterebbe l’accettazione di misure di austerità che nessun governo nazionale sarebbe disposto ad approvare spontaneamente.

Ora, nonostante gli allarmismi provenienti dalle aree più euroscettiche, l’Unione Europea — pur disponendo di una moneta unica e di una banca centrale comune — è ancora priva di un vero bilancio federale e di un’autorità fiscale centralizzata.

A questo proposito, è necessario considerare un elemento politico di rilievo: l’elezione di Friedrich Merz e il nuovo orientamento della CDU. Il cancelliere che ha riportato l’Unione cristiano-democratica alla guida della Germania intende dare la “priorità assoluta” alla costruzione di un’Europa forte e alla sua autonomia rispetto agli Stati Uniti.

Questa visione implica, concretamente, una maggiore flessibilità sul fronte del debito, sia per finanziare l’aumento delle spese militari — si parla dell’emissione di centinaia di miliardi di euro in obbligazioni, con la proposta di investimenti fino a 100-150 miliardi di euro in armamenti — sia per sostenere la spesa pubblica degli Stati membri più esposti agli effetti dei dazi commerciali imposti dagli Stati Uniti sotto la presidenza Trump.

Tuttavia, l’emissione di debito comune comporta inevitabilmente un rafforzamento delle prerogative dell’Unione e una progressiva riduzione dell’autonomia economica degli Stati nazionali. È quindi realistico assumere che, in uno scenario simile, l’UE sarà costretta ad avviare una discussione strutturata sulla creazione di una vera autorità fiscale comune — specialmente nel momento in cui le circostanze geopolitiche e finanziarie renderanno tale passo non solo utile, ma necessario.

Rayan Badr

Fonti:

Eichengreen, Barry (1991), Is Europe an Optimum Currency Area?

Fonte immagine in evidenza: https://wuab.org/magazine-articles/eurobonds-global-market-following-eu-2024-elections/

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