Ai Weiwei, artista d’avanguardia e noto dissidente politico cinese, è il protagonista di Zodiac, opera autobiografica pubblicata in Italia nel 2024 da Oblomov Edizioni. Nato a Pechino nel 1957, Weiwei è considerato uno degli artisti contemporanei più influenti: i suoi lavori e le sue installazioni –criticate quanto amate – che spaziano dalla scultura ai video, dall’architettura alla fotografia fino ad arrivare all’uso dei social media, sono state esposte nei maggiori musei e istituzioni del mondo, come la nota Sunflower Seeds o, ancora, Dropping a Han Dynasty Urn del 1995. Il carattere della sua arte, spesso provocatorio e sovversivo, ha innescato una serie di forme di repressione nei suoi confronti da parte del regime cinese, portando addirittura al suo arresto nel 2011.
Questo graphic memoir racconta la vita e l’evoluzione artistica di Weiwei intrecciandola con la storia e la politica (contemporanea e non) della Cina, attraverso l’utilizzo di una narrazione che si muove liberamente avanti e indietro nel tempo e nello spazio, a simboleggiare il normale funzionamento della memoria umana. L’infanzia in esilio nello Xinjiang, l’esperienza di studio negli Stati Uniti, i mesi in prigionia, il rapporto con il padre poeta (condannato al lavoro forzato in quanto “poeta rivoluzionario”) e il proprio percorso artistico vengono riportati dall’autore, con un certo sarcasmo e una particolare sensibilità, attraverso racconti di miti rivolti al figlio piccolo Lao. Questi stessi miti, però, nascondono al proprio interno significati molto più profondi che si rifanno a leggende del folclore cinese e storie di vita di personaggi reali; tra questi, possiamo ricordare il pittore tedesco Joseph Beuys, nel capitolo “Coniglio”, Uli Sigg, un uomo d’affari e collezionista svizzero, in “Drago” e Mao Zedong nel capitolo “Serpente”. Proprio in quest’ultimo capitolo, Weiwei e sua madre iniziano a discutere dello zodiaco che i contadini usavano per scegliere le loro mogli e, sempre qui, viene raccontata anche la Leggenda del Serpente Bianco, con una parentesi su Mao, definito come “falso monaco, quel serpente bianco Mao Zedong” (pagina 75, pannello in basso a sinistra).
Il primo mito scelto dall’autore, che apre l’intera raccolta, racconta le vicende del gatto e del topo ed è collocato all’interno del capitolo intitolato, appunto, “Topo” – primo animale dello zodiaco cinese. Utilizzando la strategia narrativa riportata sopra, Weiwei spiega al figlio Lao il motivo per cui il gatto non è incluso tra gli animali dello zodiaco: secondo la leggenda, il topo tradì il suo amico per vincere una gara indetta dall’Imperatore di Giada (pagine 5-8); in seguito però, a differenza del topo, il gatto scelse di rimanere libero e, proprio per questo motivo, nel senso comune, l’animale è diventato sinonimo di libertà. Questo breve mito, nonostante appaia a tratti innocuo e semplicistico, ci permette, tuttavia, di comprendere, da un lato, come le vignette – seppur poche per capitolo rispetto ad altri graphic novel – siano comunque in grado di racchiudere argomenti molto profondi e, dall’altro, quale sia l’effettivo funzionamento del graphic memoir in questione: a partire dal racconto di un mito, di una storia o di una leggenda della cultura cinese, si evolvono, poi, tutta una serie di dialoghi sugli argomenti più disparati.

La copertina, come possiamo notare nella foto precedente, raffigura i dodici animali dell’oroscopo cinese, i quali sono presenti anche nei dodici capitoli – in ordine topo, bue, tigre, coniglio, drago, serpente, cavallo, pecora, scimmia, gallo, cane e maiale – e che il protagonista usa come delle vere e proprie metafore per trattare discussioni sull’arte, sulla storia, sulla memoria e approfondire temi più complessi, quali giustizia, libertà, identità e censura (ancora oggi molto attuali). In netto contrasto con il colore dorato dello sfondo e le variopinte teste degli animali, l’artista è rappresentato in bianco e nero, con un’aureola di videocamere (probabilmente a indicare il governo che spia gli individui) e con delle manette al polso, emblema della prigionia passata e della libertà da lui (e dal popolo cinese) tanto ricercata e inseguita. Le manette, infatti, sono ancora legate al polso dell’artista, ma solamente da una parte – come simbolo di speranza.
Grazie alla forza espressiva dei disegni del fumettista italiano Gianluca Costantini (noto per il suo attivismo e il suo impegno nei diritti umani e premiato da Amnesty International) e alla sceneggiatura di Elettra Stamboulis (curatrice d’arte), Ai Weiwei riesce a trasformare la propria biografia in una dichiarazione universale sull’importanza della memoria come atto politico e sull’arte come spazio di dissenso, in un contesto storico in cui la libertà d’espressione è sempre più a rischio. In un’epoca in cui la memoria rischia di sgretolarsi e perdersi, Zodiac ci può essere d’aiuto nel capire che raccontare, e soprattutto ricordare (chi siamo e chi siamo stati), può essere usato come atto di resistenza e che l’arte, se dettata veramente dal cuore e dalla passione, può essere ancora uno strumento di ribellione per contrastare il potere e sperare nella libertà.
Deborah Solinas
Fonte immagine in evidenza: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/19/Ai_Weiwei_in_the_Machine_%285497364202%29.jpg/640px-Ai_Weiwei_in_the_Machine_%285497364202%29.jpg
