Ci sono piloti che rimangono nella storia per le loro vittorie e per i loro record; poi, ci sono quelli che restano. Marco Simoncelli appartiene a quest’ultima categoria: sportivi che lasciano un segno oltre i trofei e le classifiche. Perché ciò che resta di lui non riguarda i risultati, ma l’impatto umano ed emotivo che ha avuto su chiunque l’abbia conosciuto, visto correre o semplicemente ascoltato. Simoncelli era un pilota dall’istinto puro: non cercava di piacere, eppure conquistava tutti. Con quei ricci ribelli, il numero 58 stampato sul cupolino e uno stile di guida tutto suo – aggressivo e spettacolare – Marco portava in pista qualcosa di più importante della tecnica: se stesso.
Marco Simoncelli nasce il 20 gennaio 1987 a Cattolica, ma cresce a Coriano, sulle colline riminesi. Fin dalla sua infanzia, la passione per i motori è fortissima: gli viene trasmessa dal padre Paolo – gelataio di mestiere, ma il cui cuore rivolto è alle corse – che a quattro anni gli regala la sua prima moto, una Suzuki minicross 50. Da quel momento, Marco ha occhi solo per le due ruote.
A sette anni partecipa alle prime gare di minimoto, a nove compete già in un campionato regionale. Tra il 1999 e il 2000 vince due campionati italiani di categoria. Nel 2000 debutta nel Trofeo Honda 125GP e l’anno successivo chiude nono nel Campionato Italiano. Ma è nel 2002, a soli 15 anni, che Simoncelli entra ufficialmente nel Motomondiale, disputando cinque gare in 125 con wildcard e laureandosi campione europeo della classe 125. Il primo campionato completo nel Motomondiale arriva nel 2003, con un quarto posto come miglior risultato. Nell’anno successivo si fa notare davvero: il 2 maggio 2004 conquista la sua prima vittoria mondiale a Jerez, sotto la pioggia, in sella a una Gilera.
Il percorso di Marco è in costante crescita. Dopo una stagione con sei podi nel 2005, il pilota passa alla classe 250, sempre con Gilera. Il primo anno è difficile, ma nel 2007 inizia la collaborazione con il capotecnico Aligi Deganello, che segnerà la svolta definitiva. Il 2008 è l’anno d’oro: Marco diventa campione del mondo della 250 con 6 vittorie, 7 pole position e 12 podi. È ufficialmente uno dei piloti più promettenti del motociclismo mondiale.
Nel 2010 debutta in MotoGP con la Honda del team Gresini, chiudendo la stagione all’ottavo posto e dimostrando grande capacità di adattamento. È nel 2011 che Simoncelli esplode definitivamente nella classe regina: due pole position, due podi e il suo primo secondo posto in carriera nella pista di Phillip Island. Marco inizia a lottare ad armi pari con i grandi della MotoGP: Stoner, Lorenzo, Pedrosa. In ogni curva e in ogni intervista dimostra di essere pronto per il salto di qualità definitivo. Non è più un sogno, una promessa: è una realtà. E il meglio sembra dover ancora venire.
Poi la tragedia. Il 23 ottobre 2011, durante il Gran Premio della Malesia, Marco cade al secondo giro, in curva 11, e viene colpito accidentalmente da Colin Edwards e Valentino Rossi. L’impatto è devastante. I soccorsi arrivano immediatamente, ma non c’è nulla da fare. Marco muore a 24 anni. L’Italia si ferma. I tifosi, i colleghi, gli amici: tutti sanno che il paddock ha perso qualcosa di più di un pilota: ha perso un’anima. I funerali si tengono a Coriano, il 27 ottobre, con migliaia di persone presenti e milioni collegate da casa. Un’intera generazione di appassionati saluta il suo eroe.
Dopo la sua morte, il circuito di Misano viene rinominato “Marco Simoncelli World Circuit”. La sua famiglia dà vita alla Fondazione Marco Simoncelli, impegnata in progetti solidali e di assistenza per persone in difficoltà. A Coriano viene anche aperto un museo a lui dedicato: Marco diventa simbolo di autenticità, passione e coraggio. Il suo numero, il 58, non è solo un identificativo da gara, ma una vera e propria icona. A distanza di anni, Marco Simoncelli continua a essere ricordato come uno degli ultimi piloti veri, capaci di emozionare con un gesto, una parola, una curva impossibile. Il suo ricordo non vive solo nei risultati, ma nel sorriso sincero, nella battuta fuori copione, in quel modo ruvido e dolce di stare al mondo. Perché in fondo, come dice chi lo ha amato, Marco non se n’è mai andato davvero: è rimasto in ogni curva, in ogni gara, in ogni giovane che sogna di correre libero, senza paura.
Beatrice Bonino
fonti: fondazionemarcosimoncelli.it, wikipedia.org


