C’è un momento, in ogni storia sportiva, in cui un gesto smette di essere solo tecnica e diventa linguaggio. Nel tennis, quel momento porta un nome: Roger Federer.
Non è solo una questione di vittorie, di record, di trofei. È la sensazione che ogni suo movimento fosse un frammento di qualcosa di più grande: un’idea di armonia, una promessa di bellezza in un mondo che corre troppo veloce. Federer non giocava per vincere, giocava per rendere il gioco perfetto. La sua carriera è durata oltre due decenni, ma il tempo, con lui, ha assunto una forma diversa. Ogni colpo sembrava scritto in un’altra dimensione, dove il tennis non era fatica, ma danza armoniosa. La leggerezza con cui colpiva la palla non era fragilità, era controllo. Un controllo totale, mentale, estetico. Roger non imponeva forza, la suggeriva. Non dominava il campo, lo abitava. Eppure, dietro quella compostezza quasi divina, c’era un uomo che ha conosciuto la fatica, la paura, la sconfitta. Prima di diventare leggenda, Federer era un ragazzo impaziente, ribelle, capace di distruggere racchette per un errore. Poi qualcosa è cambiato: la grazia è diventata disciplina, il talento ha trovato la sua misura. Ed è lì che nasce il mito.
Nato a Basilea l’8 agosto 1981, da padre svizzero e madre sudafricana, Federer ha iniziato a giocare a otto anni. A diciannove, ha battuto Pete Sampras a Wimbledon, il suo idolo, in una partita che sembrò un passaggio di testimone. Due anni dopo, nel 2003, vinse il suo primo Slam proprio sui prati londinesi: l’inizio di un’era irripetibile. Da lì in poi, i numeri raccontano una grandezza quasi irreale: 20 titoli del Grande Slam, 103 trofei complessivi, 310 settimane da numero uno al mondo. Ha conquistato 8 Wimbledon, 6 Australian Open, 5 US Open e 1 Roland Garros.
Ma più dei successi, a restare è la sensazione di aver visto qualcosa di unico: un atleta capace di far sembrare facile l’impossibile. I suoi duelli con Rafael Nadal e Novak Djokovic non sono stati solo rivalità sportive, ma capitoli di una mitologia contemporanea. Nadal, il combattente, l’opposto complementare: terra contro erba, istinto contro leggerezza. Djokovic, la precisione assoluta, l’unico in grado di spezzare la magia con la scienza. Federer, invece, era l’arte. La grazia come forma di potere. Tre modi diversi di dire “umanità”. Quando Roger lasciava il campo, la sensazione era che qualcosa si fosse elevato oltre il punteggio. Le sue vittorie non erano schiaccianti, erano armoniche; le sconfitte, persino, avevano dignità. Nel tennis moderno, fatto di potenza e resistenza, Federer ha rappresentato un atto di resistenza poetica. Mentre il mondo si spostava verso il rumore, lui ha scelto il silenzio. Mentre la velocità diventava frenesia, lui rallentava il tempo. Nei suoi slice, nei suoi dritti piatti, c’era un messaggio sottile: la bellezza è una forma di forza. Non la più vistosa, ma la più duratura.
Fuori dal campo, Roger è sempre stato l’opposto della star comune: semplice, empatico, ironico, sempre pronto a ridere di sé. Nel 2009, ha sposato Mirka Vavrinec, ex tennista conosciuta alle Olimpiadi di Sydney. Insieme hanno quattro figli, due coppie di gemelli, che spesso lo hanno seguito nei tornei più importanti. Federer li ha sempre descritti come il suo equilibrio, il suo campo di casa. Con il passare degli anni, lo svizzero è diventato anche un simbolo di stile e misura: non solo per gli sponsor, Uniqlo, Rolex, Barilla, Wilson, ma per il modo in cui ha incarnato un’idea di normalità elegante, lontana dagli eccessi. Mai una parola fuori posto, mai un gesto teatrale. La sua educazione non era artificiale, era naturale. Un modo di stare al mondo che oggi sembra quasi rivoluzionario. Dopo i problemi al ginocchio e tre operazioni, il fisico ha iniziato a chiedere tregua. Federer ha continuato finché ha potuto, vincendo ancora dopo i 35 anni: Australian Open 2017 e 2018 e Wimbledon 2017, dimostrando che il talento, quando incontra la saggezza, diventa qualcosa di eterno.
Il 15 settembre 2022 ha annunciato il suo ritiro: “Devo riconoscere i limiti del mio corpo.” Pochi giorni dopo, alla Laver Cup di Londra, l’addio è stato poesia pura. Accanto a lui, Nadal in lacrime, come due ragazzi alla fine di un’estate infinita. Il pubblico si è alzato in piedi, consapevole che non stava salutando un atleta, ma una forma di eleganza che forse non tornerà più. Oggi Federer si dedica alla Roger Federer Foundation, impegnata nell’istruzione dei bambini in Africa e in Svizzera. È rimasto fedele al suo stile: mai sopra le righe, mai artificiale. Ha mostrato che la vera grandezza non è nella forza, ma nella gentilezza. C’è una frase che racchiude la sua essenza: “È bello essere importanti, ma è più importante essere gentili.” Federer lo è stato, sempre. Con gli avversari, con i tifosi, con il gioco. Ha incarnato un’idea di sport come spazio di rispetto, creatività e misura. Quando tutto sembrava dover essere gridato, lui ha continuato a parlare piano, e proprio per questo la sua voce è arrivata più lontano. Oggi, ogni volta che un ragazzo impugna una racchetta con leggerezza, ogni volta che un colpo trova la linea senza forza apparente, un frammento di Federer continua a vivere. Perché il suo lascito non è nei record, ma nel modo in cui ha trasformato il tennis in arte.
Roger Federer non ha solo giocato meglio di tutti: ha ricordato al mondo che lo sport, quando è puro, può ancora commuovere. E che la vera grandezza non si misura nei trionfi, ma nella capacità di restare eleganti mentre tutto intorno cambia. Per questo, più che un campione, resterà per sempre una forma di resistenza gentile.
Beatrice Bonino
Fonti: “Roger Federer: i figli, la moglie, le case, la dieta, gli sponsor, la pubblicità Barilla e quella sorpresa dopo il lockdown”; Eurosport Italia “Federer nella storia: dopo 5 anni torna numero uno del mondo”; SuperTennis.tv “50 anni di classifiche ATP (5ª puntata): tutti i record”; Sky Sport Italia “Ritiro Federer, le reazioni del mondo del tennis”.



