Diritti trans*, a che punto siamo? L’esperienza di Cecilia Aria Dolce

Che cosa significa essere una persona trans* – termine ombrello che indica tutte le persone con un’identità di genere non corrispondente al sesso assegnato alla nascita – nel 2025 in Italia? Lo abbiamo chiesto a Cecilia Aria Dolce, ex studentessa del Politecnico di Torino e aspirante fumettista, che sui social si impegna a divulgare contenuti sulla sua esperienza come ragazza trans.

Come redazione di The Password, le rinnoviamo i nostri ringraziamenti per aver condiviso con noi una parte importante della sua storia.

Per cominciare: qual è stato il percorso che ti ha avvicinata all’attivismo trans*?

È stato un percorso naturale. Tutto è nato dalla presa di consapevolezza della mia identità, che ho potuto iniziare a vivere in concomitanza con il mio periodo universitario. In quel momento ho conosciuto alcune realtà che mi hanno permesso di intraprendere il percorso di affermazione di genere (termine analogo a “percorso di transizione”, spesso preferibile poiché non implica il passaggio da un genere a un altro, ma l’affermazione di un genere che già si percepisce interiormente, NdR), come l’associazione Maurice GLBTQ.
Dato che uno dei problemi principali del percorso di transizione in Italia è la difficoltà a reperire informazioni, all’inizio mi sono ritrovata a navigare in un mare di quesiti. Ma, pian piano, mi sono accorta che io stessa stavo diventando un punto di riferimento per lə altrə, perché in moltə hanno iniziato a chiedermi consigli per il loro percorso di affermazione di genere.
Così, ho capito che quello che dicevo poteva essere utile per qualcunə altrə. Questa mia consapevolezza si è unita alla mia propensione a far notare le problematiche sociali a chi mi sta intorno. 

In questo periodo storico i diritti delle persone trans* sono sotto attacco, basti pensare alla sentenza della Corte Suprema del Regno Unito in merito alle donne trans o alla propaganda transfobica di Trump negli Stati Uniti. Com’è la situazione in Italia?

La situazione è culturalmente diversa. Rispetto all’Italia, quei Paesi sono maggiormente influenzati dalla retorica delle TERF (Trans Exclusionary Radical Feminists, femministe radicali con posizioni discriminatorie verso le persone trans*, NdR).
Ma con l’attuale governo italiano la minaccia ai diritti è evidente.
Nel 2024, l’ospedale Careggi di Firenze – il polo più importante d’Italia per i percorsi di affermazione di genere, soprattutto per lə minori – ha subito un’ispezione e i loro metodi di diagnosi della disforia di genere sono finiti sotto inchiesta
L’ispezione ha portato al rallentamento o al blocco nelle procedure per iniziare ad assumere i bloccanti della pubertà testati scientificamente, che sono un vero e proprio salvavita
Più di recente la ministra Roccella ha proposto il “Ddl disforia”, che di fatto si è tradotto in un rischio di schedatura dellə minori trans*.
In Italia i percorsi sono ostacolati anche a livello giuridico. Molti giudici tendono a rallentare il processo di cambio anagrafico, soprattutto per chi ha ottenuto una diagnosi privatamente.
Resta anche il problema culturale, specialmente per quanto riguarda le donne trans. Per anni l’industria cinematografica e la satira televisiva le hanno rappresentate come qualcosa di comico e innaturale. Perciò, si è creato un archetipo difficile da sradicare.

Che cos’è per te l’attivismo e in che modo può contrastare il clima d’odio?

Anche se non mi definisco con il termine “attivista”, mi piace divulgare contenuti basandomi sulla mia esperienza personale.
Lo faccio perché, tornando alla questione dell’archetipo, molto spesso si ha un’idea totalmente stereotipata di cosa sia una persona trans*. Penso invece che quando si annulla il divario tra lo stereotipo e la persona reale, che magari si racconta in modo un po’ meno istituzionale, ci si possa venire incontro.
Per me fare attivismo è anche avvicinare le persone a un’esperienza spesso non trattata con rispetto. Solitamente si ha l’idea statica di un percorso di transizione, ma non ci si rende conto che l’esperienza trans* copre un arco di tempo che va dalla nascita fino alla morte e implica sfide istituzionali, sociali, identitarie. Questa esperienza ha molto da insegnare, perché la nostra condizione ci porta ad affrontare ostacoli che una persona cisgender non vive.

Fare attivismo significa anche fare rete con persone che vivono esperienze simili alla propria. Quanto è importante questo aspetto per te?

Per me e per le persone trans* in generale la comunità è fondamentale, una rete di sopravvivenza. Tra di noi condividiamo informazioni, contatti e ci si offre casa, famiglia, supporto, perché molte di queste cose ci sono negate o diventano incerte. Spesso ci scambiamo consigli su luoghi gestiti da persone non transfobiche, perché molte situazioni negative accumulate rischiano di trasformarsi in un microtrauma. Un esempio: mi è capitato, prima di iniziare la terapia farmacologica, di andare da un parrucchiere e di prenotarmi con il mio nome, Cecilia. Nonostante ciò, sono stata trattata come un ragazzo e questo mi ha traumatizzata. Dopo quell’episodio, ormai sono due anni che mi taglio i capelli da sola.
Ho scoperto che la comunità è vitale anche collaborando con la  realtà de Le Transatlantike – una rivista che fa attivismo sui temi legati al transfemminismo, al poliamore, all’antispecismo e tanti altri – che si è trasformata in un’altra rete in continua espansione e utile per tutta la comunità.

Pensi che anche l’arte possa contribuire al cambiamento?

Moltissimo. Le persone trans* sono ovunque in campo artistico e sono risorse preziosissime, perché possono regalare all’arte una varietà di storie poco raccontate.
Poi torniamo alla rappresentazione: più raccontiamo la nostra esperienza in prima persona, più facciamo capire come siamo realmente, ribaltando la narrazione negativa che è stata fatta su di noi.

Basandoti sulla tua esperienza al Politecnico, in ambito accademico ci sono delle misure o dei servizi che sono garantiti per lə studentə trans*? E cosa invece va migliorato?

Al Politecnico si può fare velocemente la carriera alias (la possibilità di essere riconosciutə con un nome diverso da quello registrato all’anagrafe, NdR).
Penso che però rimanga un problema quando non c’è sensibilizzazione dall’altra parte. Purtroppo molti professori creano situazioni imbarazzanti quando si accorgono che il nome non corrisponde all’aspetto fisico, soprattutto con le persone non-binary o chi non ha il privilegio del passing (l’essere identificatə con il proprio genere, NdR).

Ci sono delle risorse online che consiglieresti a chiunque voglia informarsi sul tema dell’identità di genere e dei diritti delle persone trans*?

Consiglio il portale Infotrans, il sito di Associazione Libellula e la pagina Instagram de Le Transatlantike.

La domanda finale è uno spazio bianco, in cui puoi lanciare un ultimo messaggio per concludere questa intervista.

Ci tengo a lasciare una riflessione alle persone cisgender: se avete amicə trans*, sappiate che siete risorse importanti per loro. Essere buonə alleatə non significa soltanto rispettare i nostri pronomi, ma trattarci come persone. Lo dico perché, a inizio percorso, avevo la sensazione che mi vedessero più come un “giocattolino” che come una persona: usavano i pronomi femminili, ma non mi facevano sentire una di loro.
Quindi informatevi, lottate per noi e non trattateci come qualcosa di speciale. Siamo soltanto persone che vogliono vivere in pace, in un sistema ancora troppo chiuso.

Ilaria Vicentini

Per informazioni sulla carriera alias:

UNITO:
https://www.unito.it/ateneo/organizzazione-strutture-e-sedi/organi-di-ateneo/comitato-unico-di-garanzia-cug/carriera

POLITO:
https://www.polito.it/ateneo/parita-welfare-e-inclusione/diversity-e-inclusione/carriere-alias

The Password consiglia:

TRANS* MARCH 2025:
https://www.torinopride.it/trans-march/trans-march-2025/

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