Tre ore e nove minuti. Si tratta della durata dell’ultimo film di Damien Chazelle (regista di La La Land, Whiplash e First Man): un lasso di tempo importante per un progetto ambizioso che si riassume nelle parole stesse del regista quando definisce il suo Babylon una “lettera d’amore per il cinema e una lettera d’odio a Hollywood”.
Babylon è ambientato in un periodo cruciale per la storia del cinema, ovvero nel periodo tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta in cui si verificò il passaggio epocale tra il cinema muto e l’avvento del sonoro. La prima parte del film è quella che si concentra maggiormente sul cinema in sé, in tutte le sue implicazioni in quanto arte e in quanto lavoro: questo sprofondare nelle viscere dell’industria cinematografica con i suoi sogni, le sue aspirazioni e le sue illusioni espresse attraverso i suoi cambiamenti materiali è l’elemento di forza di questa prima parte, insieme allo sfavillare rumoroso e maniacale dei roaring twenties con i suoi divertimenti e i suoi sfarzi al limite del grottesco.
La seconda parte si dedica a mostrare con più evidenza le conseguenze drammatiche della fama e dell’eccessiva ambizione sulle vite individuali dei tre protagonisti di cui seguiamo le storie, Miguel, Nellie DeRoy e Jack Conrad, interpretati rispettivamente da Diego Calva, Margot Robbie e Brad Pitt: nel farlo, tuttavia, perde il mordente e rischia di scadere nella ricerca di un effetto drammatico scontato e didascalico e troppo slegato dall’impalcatura costruita nella parte precedente.
Babylon è un film che ha ricevuto un’accoglienza eterogenea e contrastante: molti entusiasti e altrettanti critici feroci. Questa polarizzazione può essere in parte spiegata dal fatto che Chazelle con questo film si pone un obiettivo molto ambizioso: in Babylon è evidente il desiderio di voler comprendere tutto, di voler catturare e rappresentare ogni aspetto del cinema e dell’industria cinematografica, dal suo lato più appassionato e onirico ai suoi eccessi e ai lati più oscuri, di sfruttamento e di avidità. Un obiettivo forse troppo alto, il cui imparziale raggiungimento può lasciare con l’amaro in bocca uno spettatore catturato dalle alte premesse poste da Chazelle.
Il tono di Babylon è stato reso con precisione dal giornalista David Sims che, descrivendo una delle primissime scene del film, offre questa descrizione: “[…] E definisce perfettamente il tono dell’ignobile lettera che Chazelle indirizza all’era del muto hollywoodiano, una pellicola sfarzosa di oltre tre ore di dissolutezza, squallore generale e straripante magia cinematografica che dà fuoco al settore e invita il pubblico a ballare intorno al falò. Per una grande casa di produzione proporre un progetto del genere al giorno d’oggi è una mossa audace, dal momento che i grandi budget di solito sono elargiti ai supereroi, e la sontuosa condiscendenza di Babylon probabilmente scoraggerà molti spettatori. Ma Chazelle sta cercando di metterci davanti al fatto che, dietro le quinte, la magia del cinema è sempre andata di pari passo con lo sfruttamento, l’abuso e la malvagità“.
La mossa audace della casa di produzione di Babylon non ha pagato in termini economici: costato tra gli 80 e i 90 milioni di dollari, Babylon ha incassato al botteghino nella prima settimana negli USA appena 5,3 milioni. Un flop economico che, in linea col tema del film, ci invita a fare delle riflessioni sull’industria cinematografica e sulle possibili direzioni da prendere in termini di produzioni originali e dei mezzi necessari per sostenerle.
Sofia Racco
Crediti immagine di copertina: @babylonmovie on Instagram
