Prodotti a basto costo, da qualsiasi parte del mondo, in qualunque momento: è la promessa di molte piattaforme già esistenti, da Amazon ad AliExpress, che da non molto tempo hanno un nuovo competitor, Temu. Il nome stesso dell’e-commerce – “Team up, price down” – non lascia spazio ai dubbi: mira a offrire una varietà di oggetti economici, provenienti da milioni di venditori in tutto il mondo. I punti di forza di Temu, illustrati sulla sua pagina web, sono la capacità di gestire filiere logistiche complesse e di mettere in contatto diretto consumatore e produttore. Ciononostante, la crescita rapida della piattaforma suscita dubbi di natura etica e ambientale: qual è il modello di business di Temu e quanto è sostenibile? È destinato a diventare Shein 2.0?
Chi c’è dietro a Temu?
Il marketplace è stato fondato nel 2022 a Boston dalla multinazionale PDD Holdings, il cui quartier generale è a Dublino. PDD Holdings possiede anche Pinduoduo, società consorella molto popolare in Cina. Anche Pinduoduo vende numerosi prodotti a basso costo, dagli alimentari alla casa, con una strategia di vendita simile, che l’ha resa un colosso nel giro di pochi anni. La fortuna di Pinduoduo è anche dovuta al cosiddetto “social shopping”: i clienti sono incoraggiati a non acquistare da soli gli articoli, per pagarli di meno. L’e-commerce, inoltre, mette in palio anche premi e propone esperienze di gioco interattive, con sistemi di ricompensa legati al risparmio. Queste strategie sono state adottate anche da Temu, che dà la possibilità di ricevere prodotti scontati (o addirittura gratuiti), a patto di invitare nuovi utenti sull’app; si può anche aderire a un programma di link affiliati.
Temu è sostenibile?
Il modello di business di Temu, noto anche come “ultra fast fashion”, è dannoso per l’ambiente: estremamente consumistico, propone ai clienti oggetti di qualità bassa e non durevoli, risultato di una produzione accelerata. Ritmi di produzione tanto veloci potrebbero mai essere sostenibili? Se il prezzo degli articoli è così basso, è giusto ignorarne la causa?
Inoltre, tutti i fornitori di Temu sono tenuti a rispettare le leggi locali sui salari e gli orari dei lavoratori, a causa della politica di tolleranza zero dell’azienda. Tuttavia, Bloomberg, una multinazionale dei media, riporta un’analisi allarmante: ci sarebbe un rischio “molto alto” che il processo di supply chain (cioè la catena di distribuzione) fosse “contaminato dal lavoro forzato” degli Uiguri, etnia turcofona di religione islamica, che vive principalmente nella regione autonoma dello Xinjiang. Bloomberg, attraverso l’Ultra Information Solution, ha scoperto che più di dieci articoli venduti negli Stati Uniti provenivano da aziende con sede nello Xinjiang. Come riportato da AP News, “il modello di business di Temu permette alla società di evitare la responsabilità di osservare la legge statunitense che impedisce l’importazione della regione cinese dello Xinjiang, a meno che le aziende non dimostrino che gli oggetti siano stati prodotti senza sfruttamento”.
Temu continuerà a crescere, sbaragliando la concorrenza? Il suo modello vacillerebbe, se i consumatori ne fossero informati? Quanto è importante conoscere il costo reale – non solo economico, ma anche sociale e ambientale – dei propri acquisti, per fare scelte mirate?
Fonti:
https://www.milanofinanza.it/news/temu-l-anti-shein-punta-a-3-miliardi-202303211852562473
http:// http://www.giornalettismo.com/temu-prodotti-usa-sfruttamento-uiguri/
https://www.techadvisor.com/article/1996442/is-temu-safe-to-use.html
Fonte immagine:https://www.vecteezy.com/png/11047522-smartphone-and-mobile-phone
Giulia Marianna Dongiovanni
