Nello scorso articolo ho evidenziato le caratteristiche dell’Impero Bizantino e ho anticipato che alla principessa Anna Comnena venne tolto il trono, un po’ come Robert Baratheon che si impossessò del Trono di Spade.
Anna Comnena era la figlia primogenita di Alessio I Comneno, l’imperatore che riportò in auge l’Impero Bizantino dopo il complicato periodo delle crociate, e legittima erede al trono. Tuttavia, il trono le venne rubato, come scrisse il poeta neogreco Kavafis, «da quell’impudente di Giovanni».
Immaginatevi alla corte di Costantinopoli: i banchetti sontuosi, le pareti decorate con i mosaici, un’intera stanza dedicata al parto e colorata di rosso e il trono dell’Imperatore che si alza e si abbassa meccanicamente – non scherzo, è tutto vero –. Ora, l’Imperatore fa una scelta, ha davanti a sé la figlia a cui ha permesso di studiare la letteratura classica ed essere istruita come venivano istruiti i figli maschi, e la designa come legittima erede al trono – che le spettava comunque di diritto in quanto primogenita. Anna cresce tra le stanze del palazzo imperiale, legge Aristotele, Sofocle, Platone e ogni giorno affianca il padre nelle faccende politiche per prenderci la mano e rendersi conto di quello che sarà il suo futuro come regina. Avete immaginato la scena? Adesso spostate lo sguardo come una telecamera che cerca di catturare qualcosa che avviene in secondo piano, magari lontano dal campo visivo principale. E quella telecamera si ferma nella stanza del parto, quella colorata di rosso e da cui i figli degli imperatori prendevano il nome di porfirogeniti (letteralmente “nati nella porpora”). Proprio lì sta venendo al mondo l’unica persona che potesse cambiare le carte in tavola: Giovanni, il fratello di Anna.
Fino al momento della nascita del figlio, Alessio I – stando ai documenti che ci sono arrivati e all’opera epica che ha scritto in suo onore proprio Anna – era convinto della scelta di passare lo scettro alla figlia. Tuttavia, vedendo negli occhi della corte la legittimità di un erede maschio, si fece persuadere e revocò l’ereditarietà ad Anna. E non solo, la fece sposare all’età di quattordici anni con Niceforo Briennio.
Ovviamente sappiamo a chi va il premio come miglior padre dell’anno, ma bisogna comprendere il contesto: la corte di Bisanzio era misogina e maschilista. Vi ricorda qualcosa?
Questo non vuol dire giustificare certe scelte, ma cercare di contestualizzarle al meglio. Se diamo un’occhiata a quella che è la storia bizantina, ci rendiamo subito conto di che cosa significasse essere una donna in quel periodo: le condizioni di vita poteva essere leggermente migliori, ma era molto simile a quella dell’Atene del V secolo a.C.
Tornando ad Anna, la decisione di non essere più l’erede del Regno fu irrevocabile; tuttavia, grazie alla sua straordinaria intelligenza e intraprendenza, non solo non si arrese all’idea di non essere più destinata a diventare regina, ma organizzò una rivolta per riprendersi ciò che le spettava di diritto. Insomma, non si fece certo fermare da un decreto imperiale. E dunque, alla morte di Alessio I il regno passò automaticamente in mano a Giovanni e fu lì che Anna tessé le trame della congiura per riprendersi il trono, come un’orgogliosa Targaryen di Roccia del Drago. Anna si alleò con la madre Irene Ducas e Niceforo per spodestare il fratello Giovanni. Convinta dell’appoggio del marito, tentò la sua mossa ma sul più bello Niceforo si tirò indietro e la congiura venne scoperta.
Le conseguenze le pagò tutte Anna: Giovanni decise di non giustiziarla, ma confiscò tutti i suoi beni e la costrinse alla clausura forzata. Nel monastero, però, non si perse d’animo e decise di scrivere – sul finire della sua vita – un’opera epica in cui celebrava le imprese del padre intitolata Alessiade. Per quanto riguarda il marito, continuò ad amarlo nonostante l’avesse lasciata sola durante la congiura e, quando morì, «pianse la sua vedovanza», come si legge nell’elogio di Kavafis. Elogio che riesce a descrivere in poche strofe la grandezza di questa donna.
Nel prologo dell’Alessiade, Anna Comnena
piange la propria vedovanza.
È in preda alla vertigine. «E», ci dice,
«fiumi di lacrime m’inondano
gli occhi…Ahimé, i flutti» della sua vita,
«ahi, le rivoluzioni». Per la pena brucia
«fino alle ossa, alle midolla, all’anima lacerata».
Ma la verità sembra un’altra: quella donna
avida di potere ebbe un unico cruccio,
ebbe un solo grave dolore
(anche se non l’ammette) quella superba Greca:
non aver potuto lei, scaltra com’era,
conquistare il trono; glielo tolse
quasi di mano quell’impudente di Giovanni.
Alessandra Tiesi
Fonti e consigli
Anna Comnena, Alessiade.
Kostantino Kavafis, Le poesie, Einaudi.
Crediti immagine copertina: retrospectjournal.com
