Dopo il primo articolo su Appunti di Storia e storiografia cinese, proseguiamo adesso con una brevissima trattazione della figura dell’imperatore-despota nella ricezione occidentale.
L’Occidente, per affermarsi e definire se stesso e la propria identità, ha bisogno di un’entità da rappresentare come diversa da sé, altra, aliena; specialmente nell’Ottocento, è stata l’Asia ad assolvere a questo ruolo. Occidente e Oriente non potevano essere uguali, bensì dovevano essere attribuite all’uno e all’altro caratteristiche opposte per polarizzare la comparazione su estremi sempre più distanti. Il passo per attribuire all’uno e all’altro giudizi di valore, ovvero per dire quale fosse “migliore“, sarebbe stato molto breve. Discorsi – così definiti dal filosofo Foucault – di questo tipo sono tipiche del fenomeno dell’Orientalismo che è stato particolarmente intenso nel XIX secolo in cui l’Asia è stata presa alternatamente come modello di ispirazione artistica (Monet), filosofica (Schopenhauer e il velo di Maya) e morale, o come luogo di chiusura, dispotismo e negazione della libertà. Mi concentrerò su quest’ultimo aspetto.
L’immagine della Cina presso l’Occidente: il despota
Il XIX secolo è stato in molti Paesi dell’Europa, quantomeno di facciata (non sono mancate strumentalizzazioni), un momento di affermazione della propria nazione e della propria comunità, attraverso una politica sempre più di massa, in cui il singolo è attivo. La Cina era al contrario un impero retto da un sovrano, nella cui corte era concentrato tutto il potere, con un’economia premoderna, basata soprattutto sull’agricoltura , sull’artigianato e sulla produzione manifatturiera (ma senza mezzi tecnologici comparabili a quelli dell’industria europea) e in cui il commercio, ancorché fiorente, era fortemente controllato dallo Stato, restio a favorire gli scambi con l’esterno. Gli Europei quindi facile gioco a giudicare i Cinesi arretrati da un punto di vista politico, sociale e culturale in senso lato e quindi, per favorire soprattutto gli interessi dei propri mercanti, ad aumentare la propria ingerenza nelle questioni dell’Impero celeste. A seguito delle Guerre dell’oppio e dei trattati ineguali (anni ’40 e ’50 del XIX secolo), le potenze occidentali prima ottennero condizioni favorevoli al commercio con la Cina e poi iniziarono a spartirsene il territorio.
In Europa, insomma, si sedimentò l’idea della Cina come Paese autoritario, immobile, dispotico; fu sempre così? Certamente vi furono dinastie in cui si accentrava il potere nelle mani della corte — a cui comunque il sovrano delegava molti compiti: si trattava, più che di dispotismo dell’imperatore stesso, di assolutismo burocratico —, spesso con il risultato di una chiusura nei confronti delle innovazioni e dei cambiamenti: i Qin nel III secolo aC, i Sui attorno al 600 dC, i Ming tra XIV e XVII secolo, gli stessi Qing tra XVII e metà del XIX secolo.
Ma la Storia cinese è meno monotona di quel che sembri, infatti vi furono anche momento di decentralizzazione del potere o addirittura frammentazione politica, in cui vi furono rivoluzioni filosofiche, tecnologiche e sociali strabilianti: Primavere e Autunni (VIII-V secolo aC), Stati Combattenti (V-III secolo aC), Han orientali (I-III secolo dC), Dinastie del Nord e del Sud (V-VI secolo dC). Questi periodi furono totalmente l’opposto di quanto rappresentavano i discorsi che avevano preso piede presso gli Europei.
Per concludere, quando ci si approccia a una disciplina quale la Storia della Cina, è opportuno, consci della diversità della sua cultura dalla nostra, cercare di liberarsi quanto più possibile dai pregiudizi e dagli stereotipi per osservare e studiare con occhio veramente critico.
Fonti:
K. Vogelsang, Cina. Una Storia millenaria, Einaudi, 2014; E. Said, Orientalismo, Feltrinelli, 2001
Thanh Huy Boggio
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