Decolonizzazione del linguaggio, di cosa si tratta?

Le parole possono ferire, lo sappiamo. La lingua, il linguaggio e i termini che usiamo nella nostra vita quotidiana sono più potenti di quanto immaginiamo: la comunicazione è infatti uno degli aspetti più basilari, complessi, e caratterizzanti delle società umane. Le parole non sono solo un tramite per esprimere pensieri, ma danno forma al mondo che ci circonda, eppure spesso le usiamo inconsciamente; è importante imparare a riflettere sulle parole con cui veicoliamo i messaggi, poiché ad avere un preciso valore non è solo il contenuto del messaggio in sé, ma anche i termini con i quali quest’ultimo è stato trasmesso.

Quali parole scegliamo per descrivere ciò che ci circonda? Interpretiamo il mondo esterno attraverso un processo di identificazione continua, ma siamo anche in grado di modificare ciò che viviamo e la nostra conoscenza della realtà grazie alle esperienze che facciamo ogni giorno. Eppure, il ciclo linguistico di identificazione-interpretazione-definizione può essere distorto dal passato coloniale del mondo in cui viviamo. Il linguaggio che utilizziamo sintetizza il modo in cui ci relazioniamo nella società e anche le disuguaglianze e le ingiustizie che ne fanno parte. Molti termini che usiamo quotidianamente hanno una matrice razzista, coloniale o violenta, ma noi nemmeno ne siamo coscienti.

Come possiamo, nella vita di tutti i giorni, capire quali espressioni veicolano o richiamano un pensiero razzista e/o coloniale? Non ci sono formule magiche, l’unico modo per decolonizzare il nostro linguaggio è sensibilizzare le persone che ci circondano; possiamo farlo principalmente in tre modi: innanzitutto, ripensando le situazioni, perché ci sono contesti in cui certi termini non sono più appropriati; in secondo luogo, capendo che certe parole possono portare con loro connotazioni negative di un passato che non fa parte del presente; infine, tenendo sempre in considerazione che certe espressioni possono risultare svilenti e/o denigrare e ferire i membri di alcuni gruppi particolari o minoranze. È essenziale scegliere con attenzione i termini che impieghiamo, valutando di volta in volta quanto le parole che utilizziamo veicolino discriminazione; ecco cinque semplici domande che possiamo porci quando siamo in dubbio: 

  1. Quando e dove si è originato il termine che prendiamo in analisi? È un termine di origine coloniale? Se sì, c’è stato un cambiamento da quando il termine è nato oppure mantiene la connotazione originaria?
  2. La parola che vorremmo impiegare reitera un cliché o richiama stereotipi?
  3. Il termine implica concetti come supremazia e subordinazione? 
  4. L’espressione produce discriminazione nei confronti di coloro che si allontanano dalla ‘norma’? 
  5. In quale contesto è di solito impiegato questo termine? Da chi?

Queste domande possono aiutarci a intraprendere un cammino di consapevolezza rispetto al linguaggio che utilizziamo; l’idea è che attraverso questo tipo di riflessione le persone possano oltrepassare la propria riluttanza nel discutere parole e temi in relazione alla discriminazione e al razzismo, creando consapevolezza e comprensione, anche in coloro che appartengono alla cosiddetta ‘norma’ sociale. Ovviamente questi sono solo piccoli atti di resistenza quotidiana, piccoli passi in avanti, ma senza il primo passo sulla Luna di Neil Armstrong, non avremmo mai nemmeno immaginato di poter puntare a Marte.

Jessica Pons 

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