Polemiche attorno alla Berlinale

E intorno alle dichiarazioni dei registi del documentario No Other Land

Domenica 25 febbraio si è conclusa la settantaquattresima edizione della Berlinale, il festival del cinema di Berlino, uno dei più grandi in Europa nel suo genere accanto a quelli di Cannes e di Venezia, da sempre il più marcatamente politico tra questi. Infatti le controversie non sono mancate, in una serie di eventi che fanno venire in mente quanto avvenuto sul palco dell’Ariston. Basti ricordare che la Berlinale venne creata nel 1951 per iniziativa degli Alleati, come “vetrina del mondo libero“, e che all’inizio dedicò sempre molta attenzione ai film della Germania Est. Un esempio significativo di questa attitudine è la scelta del vincitore dell’Orso d’oro per il miglior film di quest’anno, assegnato a Dahomey, documentario della regista Mati Diop, francese di origini senegalesi, che parla della restituzione al Benin di ventisei oggetti trafugati del Regno di Dahomey, conservati al Musée du quai Branly di Parigi, un film dal chiaro messaggio anticoloniale.

Su molte testate si è parlato in particolare della bufera mediatica scatenatasi attorno ai due registi produttori del documentario No Other Land, una coproduzione israelo-palestinese, nelle intenzioni “un atto di resistenza creativa nella speranza di una maggiore giustizia“. Il film racconta le lotte degli abitanti di Masafer Yatta, villaggio rurale nella Cisgiordania, contro i coloni israeliani. I registi sono il giornalista israeliano Yuval Abraham e l’attivista palestinese Basel Adra: quest’ultimo è un abitante del villaggio in questione e sin dall’infanzia ha combattuto contro l’espulsione di massa della sua comunità per mano dei coloni israeliani. Come riporta la sinossi del film sul sito ufficiale del Festival, il documentario riporta la lenta sparizione dei villaggi nella regione, dove i soldati stanno demolendo case e cacciando i residenti. L’incontro con Abraham è stato decisivo per l’attivista, perché lo aiuterà nei suoi sforzi, in un’alleanza improbabile, tesa dalla disuguaglianza tra i due, uno cittadino libero, l’altro soggetto a un’occupazione militare.

I registi Basel Adra e Yuval Abraham alla premiazione del documentario No Other Land; Crediti: corriere.it; https://www.corriere.it/esteri/24_febbraio_26/condanna-israele-palco-berlinale-un-danno-permanente-e9e0c960-d4a5-11ee-b451-40ff65ace0ae.shtm

Motivo delle controversie sono le dichiarazioni rilasciate dai due durante la cerimonia di premiazione di No Other Land, vincitore come miglior documentario, da alcuni ritenute filopalestinesi e antisemite, situazione aggravata dall’assenza di contradditorio e dalla vivace accoglienza tra gli applausi generali, anche da parte della ministra per la cultura Claudia Roth: molti l’hanno invitata in seguito a dimettersi, ma lei si è giustificata dicendo che il suo apprezzamento era rivolto al regista israeliano e non al collega palestinese e che la scelta dei vincitori spettava a una giuria indipendente.

Le dichiarazioni in questione: Adra aveva espresso la difficoltà di una celebrazione “quando decine di migliaia di persone del [suo] popolo vengono massacrate da Israele a Gaza“, sollecitando lo stop dell’invio delle armi a Israele da parte del governo tedesco. Abraham ha invece parlato dell’ “apartheid“ esistente tra loro due. L’ondata di protesta di molti politici sui media tedeschi non si è fatta attendere e Abraham ha subito iniziato a ricevere messaggi intimidatori e di morte. La Berlinale ha preso le distanze dalle opinioni espresse dai registi e il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la ministra della cultura hanno condannato le loro dichiarazioni, considerate “unilaterali“, richiamando la direzione del Festival per evitare eventi simili in futuro. Il sindaco conservatore di Berlino ha scritto inoltre su X che “Berlino è saldamente dalla parte di Israele“. Il canale Instagram della sezione Panorama della Berlinale è stato poi hackerato nei giorni successivi, con la comparsa di post contenenti slogan contro Israele, poi eliminati.

La posizione della Berlinale in merito al conflitto in Medio Oriente era nota sin dall’inizio: all’apertura del Gala il direttore del festival aveva condannato l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre, richiedendo il rilascio degli ostaggi israeliani e invitando altresì l’esercito israeliano a proteggere la popolazione civile di Gaza. Va inoltre ricordato che il governo tedesco, principale finanziatore della Berlinale insieme al Land di Berlino, ha come priorità la lotta all’antisemitismo e la difesa di Israele, eredità delle tragiche vicende del Novecento e della loro rielaborazione collettiva.

Tuttavia, come già successo al festival di Sanremo, numerosi altri artisti hanno alzato la voce ed espresso solidarietà verso la Palestina: la giurata Jasmine Trinca, consegnando un Orso, ha richiesto il cessate il fuoco, mentre il regista americano Ben Russel, salito sul palco con una kefiah, sciarpa considerata simbolo della Palestina, ha accusato Israele di genocidio. Al Guardian il regista israeliano Abraham ha risposto che “Se questo è il modo in cui la Germania affronta il senso di colpa per l’Olocausto, lo sta svuotando di ogni significato“, pur riconoscendo che avrebbero dovuto fare riferimento ai fatti del 7 ottobre durante il loro discorso. Come spiega questo articolo del quotidiano tedesco Zeit, c’è sempre da aspettarsi dichiarazioni controverse in un festival di questo calibro, che dovrebbe essere luogo di libero scambio di opinioni e cultura, per celebrare il cinema come momento di apertura al dialogo e alla riflessione. Tuttavia lo scandalo anti-israeliano sembra essere dietro l’angolo in ogni evento culturale – una recente petizione con ottomila firme chiede infatti la chiusura del padiglione israeliano alla Biennale di Venezia. Come riporta ancora lo Zeit, lo Stato deve proteggere la libertà artistica nel settore culturale e non controllare opinioni e atteggiamenti. Per concludere, speranzose sono le parole finali di Abraham: “Staremo uniti, perchè il nostro film vuole immaginare un futuro in cui possiamo vivere insieme con pari diritti.“

Di questa vicenda ne ha parlato anche Cecilia Sala in questo episodio del suo podcast Stories.

Anna Gribaudo

Fonti:

https://www.open.online/2024/02/28/cessate-il-fuoco-gaza-berlinale-yuval-abraham-minacce-morte

https://www.corriere.it/esteri/24_febbraio_26/condanna-israele-palco-berlinale-un-danno-permanente-e9e0c960-d4a5-11ee-b451-40ff65ace0ae.shtml

https://www.zeit.de/2024/10/berlinale-filmfestival-kritik-programm-kulturbetrieb/seite-2

https://tg24.sky.it/spettacolo/cinema/2024/02/26/berlinale-dichiarazioni-antisemite

https://www.theguardian.com/film/2024/feb/27/israeli-director-receives-death-threats-after-officials-call-berlinale-antisemitic

Crediti immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Berlinale_Palace_(Berlin_Film_Festival_2007).jpg

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Il mondo dell’arte pare sia tornato libero. Si sperava in una presa di coscienza da parte di quell’arcipelago di culture creative. Forse ne occorrerebbe di più, ma forse non tutti quelli che dichiarano d’essere artisti sono veramente così liberi.

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