Il peso delle parole nel Rap: Intervista a Amir Issaa pt. 2

Quella che stai andando a leggere è la seconda parte dell’intervista realizzata a Amir Issaa. Per recuperare la prima parte clicca qui.

Tornando ad “Educazione rap”: in esso c’è un capitolo dedicato al peso delle parole e, in particolare, ai termini utilizzati all’interno delle canzoni rap. Considerando le recenti discussioni sui testi delle canzoni trap e drill, qual è la tua percezione riguardo l’evoluzione della sensibilità culturale in Italia negli ultimi anni?

Io parto dalla mia storia personale. Quando ho iniziato a fare rap è stato per me un modo di canalizzare le mie emozioni, di sfogarmi. Uno sfogo che aveva all’interno anche tanta rabbia. Quindi, sì, nelle mie canzoni di prima trovi un sacco di parolacce, ma ho sempre cercato di evitare termini che potessero offendere le altre persone.
Il panorama discografico italiano ha subito grandi cambiamenti, e il contesto in cui ho iniziato la mia carriera era molto diverso dall’attuale. Faccio parte della generazione degli anni ’90, cresciuto ascoltando artisti come Colle der Fomento e Bassi Maestro, in un’epoca in cui il mercato discografico per il rap non era ancora ampio o mainstream. Allora, era difficile raggiungere milioni di ascolti o guadagnare significativamente dalla musica rap. A differenza di oggi, dove i rapper possono effettivamente vivere della loro musica, noi non avevamo un percorso ben definito da seguire e non ci limitavamo a imitare ciò che era già stato fatto. Ognuno di noi cercava di creare qualcosa di unico, di costruirsi una propria identità

Colle Der Fomento

Oggi, il linguaggio e i contenuti nel mondo del rap riflettono i cambiamenti della società e del mercato discografico, che, a mio avviso, ha sviluppato una certa crudezza. La violenza, ad esempio, sembra vendere molto, ma questo non riguarda solo il rap. Serie TV di successo come Suburra e Gomorra, che glorificano vite legate al crimine, mostrano come certi temi attirino l’attenzione del pubblico. Il rap decodifica questi cambiamenti sociali, e l’industria discografica italiana ha colto l’opportunità, visto il crescente interesse dei giovani. I gusti musicali dei ragazzi di oggi, soprattutto quelli di circa 16 anni, si sono spostati: non cercano più i messaggi positivi o educativi come potevano essere quelli di artisti come Assalti Frontali, ma sono attratti da rapper che esaltano la vita di strada, il crimine e il machismo. Questo rapper, nell’immaginario collettivo, è un duro, un cattivo, e tratta le donne come oggetti. È importante, però, sottolineare che questi temi non nascono dal rap in sé, ma sono lo specchio di una società materialista e violenta che il rap semplicemente interpreta.  Inoltre, oggi un rapper che inizia a fare musica, nel 90% dei casi, segue un modello che arriva dagli Stati Uniti. Quasi tutti i ragazzi imitano qualcosa che hanno già visto, incorporando nelle loro canzoni termini inglesi o frasi tradotte. 

Quando abbiamo iniziato noi, in America c’erano gruppi come Public Enemy e De La Soul, che erano per noi fonti di ispirazione, spesso veicolando messaggi positivi o politici. Con questo non intendo dire che la nostra generazione fosse superiore; anzi, se oggi avessi 16 anni e iniziassi a fare rap, probabilmente seguirei lo stesso modello dei giovani rapper attuali. Il contesto storico è cambiato: ora fare rap può diventare una professione lucrativa, diversamente da quando iniziavamo noi, quando l’idea di guadagnare significativamente dal rap era impensabile. L’industria discografica attuale trae vantaggio da questo scenario, privilegiando i contenuti che parlano di denaro e successo personale piuttosto che di politica o questioni sociali. Infatti, un rapper che affronta temi politici oggi non riceve lo stesso livello di attenzione o ascolti di uno che invece è arrogante e parla di soldi. In questo contesto, all’industria non interessa promuovere un cambiamento sociale positivo, ma piuttosto investire e produrre musica che si allinea ai gusti prevalenti del pubblico.

Pubblic Enemy

I rapper di oggi e l’industria discografica collaborano in un contesto in cui il linguaggio e i comportamenti seguono un modello specifico, che risulta vincente sul mercato. Se ascolti le canzoni drill, se ne senti una, ne senti due, ne senti tre, dicono un po’ tutti la stessa cosa. Non lo fanno perché non hanno identità, ma perché è una formula che funziona. Se faccio una canzone come ha già fatto qualcun altro le etichette discografiche investono perché sanno che vende. Magari la tua carriera dura due anni, ma in quei due anni ti sei comprato una macchina, sei riuscito a metterti da parte 10.000€ e hai migliorato la tua vita. 

Il linguaggio e lo stile nel rap riflettono spesso un codice estetico che, pur non essendo originario dell’Italia, è stato importato dagli Stati Uniti. Questa imitazione porta a quello che si potrebbe definire come appropriazione culturale. Ad esempio, l’adozione di termini come “bitch”, che nel contesto afroamericano può avere significati specifici e contestualizzati, diventa problematica quando viene trasportata senza consapevolezza nel contesto italiano, dove il background socioculturale è diverso. La questione dell’appropriazione culturale si estende anche allo stile visivo, come il caso delle treccine, che può risultare irrispettoso se non si conosce la storia e il significato dietro certe scelte estetiche legate all’identità afroamericana. In Italia, il dibattito su questi temi è ancora limitato, ma è fondamentale iniziare a parlarne per evolvere il linguaggio e il modo di fare rap in modo autentico e rispettoso.

Oggi per me i rapper più credibili in Italia, sono rapper di seconda generazione. Questi artisti portano autenticità ai loro testi, raccontando esperienze personali di difficoltà, come il carcere e la lotta per le pari opportunità, che hanno vissuto o visto vivere alle loro famiglie. Ovviamente c’è ancora molto da rivedere, specialmente riguardo l’uso del linguaggio. Non è accettabile semplicemente copiare e tradurre termini dal rap americano senza contestualizzarli. Il rap non riguarda l’ostentazione di simboli come le catene: è una questione di espressione personale. Incoraggio i giovani rapper a trovare la propria voce, stile e estetica, evitando di imitare ciecamente gli artisti americani. Questo approccio richiede una riflessione più profonda sull’identità e sul significato di fare rap.

Si possono trovare molti esempi di rapper di seconda generazione nel panorama italiano. 

I rapper di origine nordafricana, come Ghali e Baby Gang, spesso mescolano l’italiano con altre lingue nelle loro canzoni. Questo crea una lingua ibrida, piena di parole inventate, che trovo molto interessante, indipendentemente dalle tematiche trattate. Questo uso del linguaggio mi ricorda le canzoni italiane che integrano il dialetto, come il salentino o il napoletano, che mi spingono a riascoltare i brani per capirli meglio.

Ghali e Baby Gang

Durante gli incontri scolastici, parlo di una mia canzone, “Straniero nella mia nazione”1, che rende omaggio a Sangue Misto, un importante gruppo rap italiano. La loro canzone “Lo straniero”2 mi ha ispirato a scrivere un pezzo in cui, in una strofa, uso tre lingue in modo istintivo3. Questo esempio serve per incoraggiare i ragazzi a scuola a usare tutte le lingue che conoscono nella scrittura, valorizzando così le loro origini. Quando ero piccolo, mia madre mi fece cambiare nome in Massimo per evitare problemi a scuola, ma ora dico ai ragazzi di usare il loro vero nome senza vergogna. Nel mondo dell’hip hop è molto importante parlare più lingue e li incoraggio a essere orgogliosi delle loro origini, perché è un vero punto di forza.

Siamo arrivati alla fine della nostra intervista, vorrei chiederti: dato che nel tuo libro “Educazione rap” hai incluso suggerimenti di letture e film, potresti condividere alcuni artisti musicali che consiglieresti ai nostri lettori?

Johnny Marsiglia. E’ un rapper di grande talento, con radici straniere, che merita maggiore riconoscimento in Italia. Lui ha origini capoverdiane ed è cresciuto a Palermo. La sua musica non si focalizza esclusivamenteadat sulle storie delle seconde generazioni, ma le rappresenta attraverso i racconti della sua vita e della sua città. La Sicilia, con il suo ricco melting pot culturale, è un tema ricorrente nelle sue canzoni. La qualità della sua scrittura e la profondità dei suoi messaggi sono, a mio avviso, eccellenti.

Johnny Marsiglia
  1. Straniero nella mia nazione: https://open.spotify.com/intl-it/track/56h5k7WKHLkunrBWVsy37A?si=b08609f668624eca ↩︎
  2. Lo straniero: https://open.spotify.com/intl-it/track/3Wxf52YtQYemd9ySvBh3Z2?si=bc17f57dc249474e ↩︎
  3. “Lo porto dalla strada e tutto il mondo e’ la mia casa ezaiac hola chico que pasa” ↩︎

Alessandro Santoni

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