Superstizioni in Cina e Italia: un viaggio tra gesti, parole e oggetti

La superstizione è una componente affascinante della cultura che riflette credenze e tradizioni radicate nel tempo. Non importa se tu sia superstizioso o meno, almeno una volta nella vita avrai sentito parlare di corni portafortuna, ferri di cavallo, quadrifogli o ti avranno avvertito di non passare sotto una scala o di “fare corna” per scongiurare un rischio.

L’Italia è indubbiamente un Paese scaramantico e amuleti e riti che allontanano il male variano da una regione all’altra della penisola. La superstizione è da molti ritenuta sintomo di ignoranza, mentre da altri una necessità per assicurarsi che la propria vita prosegua senza difficoltà. Negli ultimi tempi, inoltre, sono sempre più in voga video sui social, da milioni di visualizzazioni, in cui vengono eseguite pratiche che eliminano il malocchio.

A differenza di quanto si possa pensare, l’Italia non è l’unico Paese in cui sono radicate così tante credenze. Dall’altra parte del globo, in Cina, sono superstiziosi tanto quanto noi o addirittura anche più.

Potrebbe stupire il fatto che la Cina, Paese noto per la sua modernità, abbia oggetti e parole che addirittura non andrebbero mai pronunciate. Questo deriva dalla convinzione che le parole abbiano una sorta di potere magico che le rende capaci di influenzare gli eventi, di conseguenza i cinesi evitano di parlare, sempre nei limiti del possibile, di ogni argomento che possa essere di cattivo auspicio.

Se un giorno vi trovaste a parlare con un cinese, ricordatevi di evitare di dire il numero quattro (四sì), perché, per la sua omofonia con morte (死 sǐ), è ritenuto un numero di malaugurio. Contrariamente, il numero otto (八 bā) è un numero fortunato, perché la sua pronuncia ricorda quella di “avere successo” (发 fā). Anche il numero nove (九 jiǔ) è propizio, in quanto simile a “lungo periodo” (久 jiǔ), e viene quindi spesso utilizzato per augurare agli sposi un amore che duri a lungo.

Molto similmente al numero quattro cinese, il diciassette in Italia è ritenuto un numero sfortunato. La ragione è che, nella sua scrittura romana, si può anagrammare (ovvero cambiare l’ordine delle lettere) “XVII” per formare la parola “VIXI”, che in latino significa “ho vissuto”, implicando quindi la morte.

Se invece doveste fare affari o trattare di questioni finanziarie in Cina, badate bene dal parlare di libri (书 shū), in quanto questa parola suona molto simile alla parola “perdere” ( shū).

Allo stesso modo delle parole, anche i gesti possono per omofonia assumere un significato negativo. A dimostrazione di ciò in Cina vi è la consuetudine di non regalare orologi (送终 sòngzhōng), dato che l’espressione ha anche un altro senso, “dare l’estremo saluto”.

Siamo quasi alla frutta, e, se ti trovi in Cina, ricorda di non dividere in due le pere (分梨 fēn lí) con il tuo partner, altrimenti si rischiano indesiderate separazioni (分离 fēnlí).Per non parlare della “mela” (苹 píng) che ha lo stesso suono della parola “malattia” (病 bìng). Meglio preferire un mandarino, simbolo fortuna e prosperità.

Le superstizioni, dunque, giocano un ruolo importante nella vita quotidiana di molte persone, influenzando decisioni e comportamenti. E anche se possono sembrare irrazionali, diverse, ma a tratti simili, le superstizioni rivelano un comune denominatore tra Cina e Italia e nell’umanità in generale: ricercare protezione e fortuna in un mondo imprevedibile.

Oggetti, parole e gesti superstiziosi diventano un patrimonio culturale, che permette di arricchire la nostra comprensione delle tradizioni di una determinata cultura, facendoci anche comprendere la somiglianza tra due paesi solo apparentemente lontani.

Chiara D’Amico

ig: o_ochiara

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