Chiuso entro la mia creta,
t’ho forse chiesto,
Fattore, di diventar uomo io
di suscitarmi dalle tenebre?
Nella citazione in esergo, con cui si apre il libro di Frankenstein, è racchiuso il cuore pulsante del libro stesso: le conseguenze di una creazione forzata e del successivo abbandono. Victor Frankenstein decide deliberatamente di sperimentare le teorie galvaniste – molto in voga all’epoca – e “dare alla luce” un mostro o, meglio, una creatura che diventa mostruosa. Chi ha familiarità con il libro sa che quando il dottor Frankenstein si rende conto di aver creato qualcosa di orrendo ai suoi occhi, non riesce a gestire il disgusto di ciò che ha davanti e innesca la fuga della creatura. Victor la teme, ha paura di lei, di ciò che ha creato con le sue mani. Il mostro, dall’altra parte, ha percepito il rifiuto del suo creatore e non ha potuto imparare altro. E così inizia la fuga di quest’ultimo, che però non si conclude come Victor spererebbe, con la sua morte, bensì essa diventa un percorso in cui la creatura impara e comprende che è stata creata e odiata, senza soluzione di continuità.
La creatura fugge e si nasconde nei boschi intorno alla città. Inizialmente non parla, è disorientata e non ha un pensiero lineare e razionale, ma poco per volta evolve e inizia ad apprendere, finché non acquisisce più consapevolezza di sé e del mondo. Quest’ultimo, però, la vede unicamente come tale e non ne comprende la profonda intelligenza. Il momento in cui avviene questa realizzazione è quando la creatura, nascosta nei boschi, spia una famiglia che vive da quelle parti e impara la lingua e le abitudini degli umani; un giorno decide di entrare in casa, come se volesse presentarsi e diventare parte di quelle persone che, inconsapevolmente, le hanno permesso di capire e percepire la realtà circostante. Tuttavia, le conseguenze di tale scelta sono catastrofiche: quella famiglia la vede come un mostro e nulla più. La creatura, che a quel punto compie ragionamenti profondi e umani, capisce non solo di non essere amata, ma di essere vista solo per il suo aspetto esteriore, come mostro. Allora la creatura diventa il mostro che tutti vedono. Si rende conto che il responsabile di quell’orrore è il suo creatore, suo padre, colui che le ha dato la vita ma che, poi, ha abbandonato perché terrorizzato.
“Maledetto, maledetto creatore! Perché continuai a vivere? Perché, in quell’istante, non estinsi la scintilla di vita che tu mi avevi avventatamente donato? […] Nessuno fra le miriadi d’uomini esistenti avrebbe avuto pietà di me o mi avrebbe aiutato; perché avrei dovuto io mostrarmi buono con i miei nemici? No: da quel momento dichiarai guerra eterna all’umanità e, più di tutti, a colui che, creandomi, mi aveva votato a questa insopportabile abiezione.”
Dalle parole del mostro emerge la rabbia di una creazione non voluta: lui non ha deciso di essere un mostro, non ha voluto essere portato alla luce da un padre che lo ha guardato con orrore e disprezzo. E quando non si conosce l’amore si agisce senza, e così la creatura inizia a uccidere con l’obiettivo di vendicarsi e continua così finché non trova Victor. Il dottor Frankenstein è sgomento nel vedere la sua creazione e sorpreso nel constatare le sue capacità intellettive. Il mostro gli fa una richiesta: vuole una compagna, un’altra creatura che possa condividere con lui lo stesso fardello. Victor, che sulle prime acconsente, si tira indietro nel pensare a un’ipotetica progenie che verrebbe fuori. Il dottore è convinto della mostruosità della creatura – tanto da non averle dato neanche un nome – e la vede come un essere incapace di provare emozioni “umane”, senza rendersi conto che il responsabile di tale mostruosità, sia egli stesso. È Victor, in quanto suo creatore, a non avergli insegnato l’umanità, è lui che inorridisce nel vederlo e che non ha fatto niente per ritrovarlo, ma che si dispera quando assiste alle sue efferatezze.
Se portiamo il focus sulla lingua, Mary Shelley adotta parole con lo stesso etimo: creatura e creatore, creato e creante. Victor è il creatore della creatura, è un uomo che ha creato e – azzarderei – partorito un essere di sua spontanea volontà. Ma Victor è un uomo e non può partorire, ma si è affidato alla scienza per spingersi oltre l’immaginabile. Tuttavia, nel momento in cui avrebbe dovuto prendersi le sue “responsabilità” ha vacillato e la cosa creata è scappata, con un solo ricordo: lo sguardo inorridito del padre. E con quello sguardo in mente, la conseguenza è stata una creatura che ha trovato la sua ragione di vita nella vendetta. È, allora, il rifiuto a renderlo un mostro. Ma quanto lo possiamo considerare un mostro? Non è più mostro Victor, che ha deciso di dare alla luce una creatura messa insieme da brandelli di cadaveri e che ha odiato fin dal primo momento? Chi è più responsabile delle efferatezze della creatura: essa o il suo creatore?
“Ecco un quesito, scoprite chi è il vero mostro a Notre-Dame: chi è brutto dentro o chi è brutto a veder?”
Alessandra Tiesi
Fonti
Frankestein, Mary Shelley
Monstrumana, Podcast di Gaetano Pagano e Francesca Giro
